di Luca Burei
Sarà perché d’estate mi viene spesso voglia di mangiare pesce e a Roma non è facile trovare un posto dove l’offerta sia stuzzicante, fresca, ben fatta, senza doversi togliere un rene (e anche togliendoselo).
Sarà perché mi sono francamente stufato dei format e quindi dei posti che nella verticalizzazione dell’offerta gastronomica mancano di qualsiasi creatività se non nel naming dei piatti e ci fanno più di esserci (e questo vale anche per qualche stellato).
Sarà perché invecchio e mi annoio facilmente e ho le fisse come quella che non mi devi raccontare il piatto come se fosse tua sorella che vuoi maritare che lei, se proprio vuole, si marita da sola e il piatto, eventualmente, mi piace lo stesso anche se i gamberi non sono di Mazzara, le alici del Cantabrico, i pistacchi, immancabilmente, di Bronte e la ricetta dell’amata trisavola.
Sarà che il posto è azzeccato con la cucina, più che a vista, a portata di mano, l’arredo semplice ma pensato, alcuni tavoli, fuori, alti per sedersi sugli sgabelli in due bersi un bicchiere di vino spiluccando qualcosa (sempre che non facciano i 40 gradi degli ultimi giorni).
Sarà che il servizio è attento, cortese, veloce, preciso e le pietanze vengono servite in modo divertente, a volte su vassoi di servizio ricoperti dalla carta con la quale i pescivendoli incartano il pesce (ma impreziosita dal logo), a volte su piatti colorati, ma sempre con un’attenta ricerca cromatica e di spazi che fa piacere, soprattutto perché non è mai gridata.
Sarà che sono arrivato incuriosito, ma senza pretese, e mi sono alzato da tavola felice e allegro, che a parte il crudo molto buono e tutto sommato prevedibile, il resto è stato un continuum di piacere, sorpresa, consapevolezza, a partire dalla tempura di triglie, passando per la pungenza degli spaghetti aglio olio battuto di gambero rosso e colatura di alici, finendo per una guancia di ricciola alla brace con le verdure dell’orto che per la saturazione estasiata delle papille gustative risultava perfino maleducata.
Sarà che ci si alza avendo mangiato molto bene, con un conto che per il menù di degustazione di 6 piatti è di 55 euro bevande escluse, con una carta dei vini corretta, alla quale però, mio personale gusto, aggiungerei qualche voce fuori dal coro.
Sarà che ci unisce l’amore per il mare e il vento (anche se non ci siamo mai incrociati in acqua e, ormai, avendo io attaccato le tavole al chiodo, non ci incontreremo) e questo amore si vede non solo nella sapienza che traspare nel gioco tra equilibrio e sorpresa dei piatti, ma anche nella sua simpatia ed empatia, dote rara, ma Gianfranco Pascucci, per l’ennesima volta, mi ha fatto stare proprio bene, con il suo nuovo Mare Bistrot a Fiumicino.
E anche questa, per me, è una cosa rara.
Mare Bistrot
Via della Torre Clementina 126,
Fiumicino