di Chiara Fantasia
La provocazione è nata quasi per scherzo, in redazione, mentre si discuteva dell’ennesima sparata di Trump sui dazi. “E se boicottassimo l’America?” ha detto qualcuno con mezzo sorriso. Una battuta, certo. Ma poi il silenzio. E se lo facessimo davvero? Se smettessimo di considerare gli Stati Uniti come la terra promessa del consumo, e iniziassimo a trattarli come una potenza qualunque, sostituibile, magari anche un po’ invadente?
Perché gli USA sono ovunque: nella cultura, nella politica, nell’economia, e soprattutto nel cibo. Ma qual è il nostro potere in tutto questo? Cosa accadrebbe se decidessimo, d’un tratto, di boicottare tutto ciò che è a stelle e strisce, almeno a tavola?
Uno scenario estremo, forse. Ma oggi meno assurdo di quanto sembri. Perché tra dazi sempre più minacciosi, guerre commerciali sottotraccia e tensioni geopolitiche riaccese da un Trump (apparentemente) fuori di senno, l’ipotesi di un braccio di ferro economico con l’Europa è tutt’altro che remota. Il tycoon ha rispolverato la sua vecchia ossessione protezionista e minaccia nuovi dazi su eccellenze italiane come vino, parmigiano e olio d’oliva (e non solo). Ma il boomerang potrebbe colpire anche il flusso inverso: quello dei prodotti americani che ogni giorno finiscono nei nostri carrelli della spesa.
In questo clima infuocato, un boicottaggio non suona più come una provocazione da bar. Diventa una presa di posizione simbolica contro una politica economica spaccona e predatoria. E il primo settore a farne le spese sarebbe proprio lui: il cibo. Siamo davvero pronti a rinunciare a interi pezzi della nostra dieta quotidiana, tra icone pop, comfort food e il solito american dream?
La domanda è semplice: cosa succederebbe se smettessimo di mangiare made in USA?
Snack e globalizzazione
M&M’s, Oreo, Pringles, Mars, Twix, Snickers: sembrano ormai prodotti universali, ma dietro quelle confezioni colorate c’è tutto il peso dell’industria alimentare americana. Anche se spesso sono fabbricati in Europa, la ricetta, il marketing e il controllo restano saldamente USA. A questi si aggiungono i cult d’importazione come il burro d’arachidi e merendine tipo Pop-Tarts, vere icone pop ancora di nicchia, ma piuttosto simboliche. Boicottare gli Stati Uniti significherebbe tagliare via una parte consistente dell’offerta di snack industriali, quelli che ci fanno compagnia davanti alla TV o finiscono per caso nei cestini della spesa.
Bibite iconiche e zuccheri carbonati: la caduta di un impero
Dimenticatevi la Coca-Cola. E con lei, anche Pepsi, Fanta, Sprite, 7Up, Dr Pepper. Tutti brand che, anche quando prodotti in Italia, rimangono figli del marketing americano. Certo, le fabbriche europee continueranno a imbottigliare, ma un boicottaggio serio guarderebbe anche ai profitti che tornano in patria. E allora, addio bollicine zuccherate e slogan patriottici.
Quando McDonald’s non è più solo un panino
I fast food sono il cavallo di Troia dell’american way of life. McDonald’s, Burger King, KFC: tutti presenti in Italia, tutti serviti con ingredienti locali. Ma i profitti? Volano oltreoceano. Rinunciarvi significherebbe fare un taglio non solo con il junk food, ma con un pezzo di immaginario collettivo. Perché anche se il Big Mac lo prepara un cuoco bergamasco con carne toscana, resta sempre figlio del capitalismo alimentare USA.
Whiskey, barbecue e condimenti: i sapori forti dell’identità americana
Lo zio Jack (Daniel’s), il cugino Jim (Beam), l’amico Wild (Turkey): il whiskey americano è un pilastro in certe notti brave europee. Un boicottaggio li metterebbe fuorigioco insieme a intere culture del bere e del cucinare.
E poi le salse: BBQ, i rub Cajun, i mix per pollo fritto, tutto made in USA. E attenzione: molti di questi condimenti sono già sulle nostre tavole, travestiti da prodotti esotici o etnici.
Quando l’America è già qui, ma in incognito
Molti brand americani producono direttamente in Europa: Coca-Cola ha stabilimenti in Italia, McDonald’s compra pane e carne locali, persino gli Oreo vengono assemblati in Belgio. Il che significa che, in caso di boicottaggio di massa, i lavoratori italiani potrebbero pagarne le conseguenze. Bisogna tenerlo in considerazione.
E se davvero si arrivasse a un boicottaggio, non sarebbe solo una questione di prodotti: bisognerebbe rinunciare anche alla cultura alimentare ereditata dall’America, dalle ricette ai gusti esclusivi, dai packaging riconoscibili fino alla filosofia che li ha generati.
Un boicottaggio serio, coerente, non può evitarlo.