Nakai: la cucina giapponese che riscrive le regole del fusion a Roma

Koji Nakai

di Lorenza Fumelli

Nel panorama ormai saturo della ristorazione nipponica romana, Nakai – nel quartiere Aurelio, a due passi da San Pietro – si distingue per visione e identità. Non è solo un ristorante giapponese: è un progetto gastronomico che prende le mosse dalla cucina izakaya e la intreccia, con un filo sottile ma deciso, a suggestioni romane e talvolta Sudamericane. Un incontro orchestrato dallo chef Koji Nakai insieme a Cristina Longobucco e Luca Salari, che hanno dato forma a un luogo dove il gusto diventa racconto e ogni piatto un dialogo tra culture diverse, affini nella curiosità.

Più di un anima per una sola esperienza

Sala Nakai, Roma

Appena varcata la soglia di Nakai, ci si ritrova immersi in un’atmosfera accogliente e discreta, che rifugge i cliché del minimalismo giapponese più freddo per abbracciare una comfort zone elegante e rilassata. La prima sala, con i suoi toni caldi e dettagli in legno chiaro, richiama l’estetica di un moderno izakaya metropolitano, ma non si limita a riprodurne l’aspetto: ne incarna lo spirito conviviale, dove il sake scorre con leggerezza e il cibo diventa condivisione.

La seconda sala, invece, è un mondo a parte. Nascosta da una parete mobile, si apre la porta del Kiwami, lo spazio più intimo e scenografico del ristorante: un tavolo sociale da quattordici posti, dove ogni venerdì e sabato, Koji accompagna gli ospiti in un percorso degustazione immersivo, sette portate che cambiano seguendo stagioni, intuizioni e un’estetica del dettaglio che lascia il segno.

La mano di Koji Nakai: equilibrio tra precisione e libertà

Nato a Kobe nel 1984, Koji Nakai ha fatto della sua doppia appartenenza culturale il motore della propria cucina. Dopo un solido apprendistato tra mercati del pesce e ristoranti giapponesi, arriva a Roma nel 2008, innamorandosi della città e della sua gastronomia spesso caotica ma sempre vitale. Da questa tensione nasce una cifra stilistica che potremmo definire “armoniosa contaminazione”: ogni piatto è costruito con la precisione quasi ascetica del metodo giapponese, ma lascia spazio all’interpretazione, al guizzo creativo, a una certa sensualità tutta italiana.

Il risultato è una cucina identitaria ma mai chiusa, che si concede di giocare senza perdere il rigore della tecnica. Una carbonara? Sì, ma con uova di merluzzo. Dei supplì? Certamente, ma in stile takoyaki. E il sushi? Creativo, ma rispettoso: uramaki al radicchio, asparagi e avocado, nigiri di ricciola, topping di ricci di mare, tocchi di tartufo a rifinire.

Il menu: viaggi andata e ritorno tra Roma e Tokyo

takoyaki

La carta di Nakai è un invito a lasciarsi sorprendere. Dimenticate l’idea di un menu statico: qui ogni piatto racconta una storia e si inserisce in un discorso gastronomico coerente ma dinamico. Si parte con la rivisitazione dei takoyaki: guscio dorato, cuore di ragù di polpo, crema di latte di cocco, aonori e katsuobushi.

Tako Nakai Roma

I Japanese Tako sono un piccolo esercizio di equilibrio gustativo: gamberi fritti, tartare di salmone, pomodorini secchi, guacamole, il tutto servito su una nuvola croccante di gamberi che sembra sciogliersi al contatto col palato.

Fiore di zucca Nakai

Poi c’è la tempura, ma non quella che vi aspettate: fiori di zucca ripieni di cacio e pepe, gustosi, intensi. I primi confermano la vocazione duplice della cucina: tagliolini con vongole e cipollotto, mantecati in un brodo dashi profumato ai funghi porcini e shiitake, oppure noodles al mare, pieni e profondi, che evocano fondali italiani e sapidità nipponiche.

Ceviche Nakai, Roma

Da segnalare il ceviche di pesce bianco, sorprendente nella sua costruzione aromatica: sudachi, passion fruit, cipolla rossa in agrodolce, avocado, menta, pomodorini confit. Acidità, dolcezza e freschezza si rincorrono con precisione.

E naturalmente c’è anche il sushi, sebbene lo stesso chef non perda occasione per ricordare agli italiani quanto spesso ne facciano un uso disinvolto, lontano anni luce dalla sobrietà e dalla ritualità della tradizione giapponese.

Uramaki, Nakai , roma

Uramaki vegetali come quello con radicchio, asparagi e avocado, e nigiri ben calibrati, come quello di ricciola, serviti con ingredienti stagionali e accostamenti mai banali.

A chiudere, un dessert degno di nota: banana kataifi, con quella croccantezza filamentosa che accoglie una banana dolce e densa, chiudendo il pasto con un gesto di dolcezza meditata.

In conlcusione: un ristorante da osservare (e gustare) con attenzione

Nakai non è l’ennesimo ristorante giapponese con ambizioni fusion: è un luogo dove il dialogo tra culture non è una moda ma un’urgenza, dove la tecnica non soffoca il gusto e la creatività non si trasforma in esercizio di stile. È un progetto gastronomico che richiede tempo, attenzione e un certo grado di curiosità da parte di chi lo visita. Ma chi decide di fidarsi e lasciarsi guidare, troverà a Nakai un’esperienza che va ben oltre il piatto.


Nakai
Via di Santa Maria alle Fornaci 14
00165 Roma

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