Dimmi cosa bevi e ti dirò chi sei: brutal edition

di Bruno Caligiuri

Il vecchio detto recita: “Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”. Noi di Foodzilla, in preda al insolito impeto sociologico da bar di provincia, preferiamo la versione da bere. Perché dietro la scelta del giusta bevanda alcolica si nasconde un universo di personalità, storie familiari, nevrosi irrisolte e sogni infranti. Qui non si giudica, ma si osserva con sguardo clinico e una leggera inclinazione al sarcasmo. Benvenuti nella brutal edition del profiling etilico.

Caffè corretto: l’amnesico

Iniziamo con il caffè corretto. La bevanda dei parenti caciaroni, sì proprio quelli che adori vedere un paio di volte l’anno (perché tre sono già troppe): lo zio materno che fuma le Chiaravalle, la zia acquisita incallita con il Lotto e il cugino che lavora nel settore edile che cerca ancora di convincerti ad andare con lui. Chi beve caffè corretto non vuole svegliarsi, vuole dimenticare di essere sveglio. Non vuole digerire, vuole terminare il pomeriggio prima ancora che inizi. La correzione è un piccolo atto di ribellione, un graffio all’ipocrisia dello stile di vita borghese. Se mi sbaglio, mi corrigerete.

Birra Peroni: chiunque tu vuoi che io sia

Chi beve Peroni sa (di non sapere) di essere un alcolista. Un Socrate da marciapiede urbano, ma anche un aspirante dealer da bar di paese. Porta nel cuore la passione per una squadra di calcio e l’amore per la sua Fiat Punto del 2003. Meglio non parlargli di quell’amico suo che ce l’ha fatta, piuttosto offrigliene una ricordandogli i bei vecchi tempi di quando c’era la lira. La Peroni è la birra delle discussioni su quanto era meglio la TV di una volta, delle vacanze estive in provincia di Catanzaro e della grigliata organizzata all’ultimo secondo. La bevanda onnipresente nei momenti di difficoltà, qualunque essi siano.

Birra Corona: l’illuso in costume

La Corona è la birra di chi si ostina a vivere in agosto anche a novembre. Il lime nel collo della bottiglia e quella squintalata di sale sono più un accessorio fashion che una scelta di gusto. Se bevi questa birra probabilmente avrai il feed di Instagram pieno di tramonti, piedi nella sabbia e citazioni motivazionali. Sotto la superficie cool si cela una nostalgia cronica per le vacanze al mare, per quell’amore che poteva essere e non è stato, per l’amaca gonfiabile che ti fa ritrovare – brilletto – a due km dal bagnasciuga. Attenuare il senso di sconforto con la scelta di quel trench beige – e la totale consapevolezza di morire di freddo – non servirà a un granché.

Solo vino rosso: il tradizionalista

Chi beve solo vino rosso ha un’anima forgiata nelle proprie convinzioni. Vive di emozioni forti, ama le cene lunghe, i camini accesi. È diffidente verso il prossimo, esattamente come non si fida dei vini bianchi – di cui ripugna l’esistenza – e dei rosati – che considera come rossi che non ce l’hanno fatta. Il decanter è il suo mantra di vita, il beccuccio ossigenatore una roba da neofiti fighetti. Beve con convinzione argomentativa, discute con fervore e plasma gli attimi a botta di calici tracannati. Un romanticismo ruvido e abituale, proprio come la tannicità che adora.

Solo vino bianco: il laissez faire

Diciamoci la verità, la questione non è macchiarsi i denti. La realtà dei fatti è che il bevitore di vino bianco ha disgusto per tutto ciò che è pesante, a partire – ovviamente – dalle persone. Vive come beve, con la giusta distanza da tutto. Si circonda di arredi minimal, parla in modo controllato e crede fermamente che il vero lusso sia non avere nulla da spiegare. Vuole chiarezza, luce, trasparenza. Anche nel bicchiere, soprattutto nel bicchiere. Ma dietro la sua ossessione per l’aromatico secco e il profumo di fiori bianchi, si nasconde una precisa strategia di vita: evitare ogni tipo di attrito – dalla digestione ai sentimenti – perché tutto ciò che non è essenziale è superfluo.

Solo grandi vini: il filantropo

C’è chi beve grandi vini per amore della cultura enologica, e poi c’è il filantropo del vino: quello che stappa etichette da tre cifre tanto un po’ vantarsi, un po’ per una sana voglia di condivisione. Ama far sapere che la sua cantina è meglio fornita del catalogo di una maison francese, ma ha anche il cuore tenero del benefattore. È ricco, lo sa, e non fa nulla per nasconderlo. Un consiglio: apprezza la sua generosità e infischiatene se trovi poco interessante l’ennesimo suo sproloquio sulle caratteristiche del Barolo di Conterno annata 2016. Il suo bicchiere è sempre pieno, il suo portafoglio aperto e il suo ego talmente grande da farti sentire un po’ parte della sua magnificenza. Stare con lui è come salire su una Rolls-Royce: un po’ scomodo all’inizio, ma difficile poi farne a meno.

Solo (pochi) grandi vini: il filosofo spilorcio

Al contrario dei filantropi, i filosofi dei grandi vini si atteggiano da intenditori navigati ma possiedono una lista di vini più corta delle loro braccia. Discutono di tannini e di sentori come fossero un gossip giornaliero. Non lasciatevi ingannare: la loro esigua collezione è intoccabile, motivo per cui, una volta invitati a casa loro, state certi che lì al centro tavola troverete un decanter colmo di Tavernello, opportunamente spacciato come una sapiente e ricercata scelta tra le cantine più remote d’Abruzzo.

Bollicine: il tipo antisgamo

Il bevitore di bollicine pensa di essere sofisticato, si compiace alla sola visione delle bottiglie fresche in frigo e giustifica ogni stappata con la scusa dell’aperitivo soft. Sotto questo profilo, in realtà, si nasconde un alcolista funzionale, il classico tipo che non salta nemmeno una riunione Zoom ma che già alle 11:30 del mattino ha le idee chiare sul da farsi post work (e magari anche prima di pranzo). Le caratteristiche di questa bevanda lo rappresentano: frizzante fuori, acido dentro.

Grappa: il saggio silente

Chi beve grappa ha visto cose. Ha fatto esperienze che preferisce non raccontare e porta dentro di sé un dolore che solo quel C-4 sparato nello stomaco può anestetizzare. La grappa non perdona, brucia come una verità scomoda e lascia dietro di sé un silenzio tangibile. È la scelta di chi non ha bisogno di dolcezza e compassione, ma solo di chiarezza e – forse- di disinteresse da parte del mondo lì fuori.

Whisky: il double face

Il bevitore di whisky ricorda molto uno dei più amati villan di Batman. Un piede nella raffinatezza, l’altro nel baratro. Una scelta di attitudini: James Bond – che lo beve in purezza – una sera, Bukowski – che lo allunga tempestivamente con acqua – quella dopo. In ogni caso, sorseggiare è meditazione, un viaggio sensoriale tra la torba e la propria vanità. Chi beve whisky sa di essere un cliché, ma ci si crogiola con classe. Ascolta jazz solo per sentirsi più solo, fuma sigari senza saperne il motivo e, soprattutto, distingue i luoghi in cui andare a bere in base a chi vuole sentirsi in quel momento.

Jägermeister: la partita IVA

Chi ordina uno Jägermeister probabilmente hai un passato nei rave e un presente da freelance. È notturno, imprevedibile e con un certa propensione a complicarti la vita da solo. Lo Jäger è il balsamo per le anime incasinate, un liquore che sa di boschi e di sballo. Chi lo beve ha amici sparsi per l’Europa – e perché proprio a Berlino – , nonché playlist piene di techno e una passione per i tatuaggi white and gray.

Limoncello: il santarellino

Il limoncello te lo offre l’amico come ultimo shot quando volevi solo andare a dormire. O peggio, quando non hai voglia di bere e ti convinci che sia simile a un sorbetto di fine pasto. Dolce, rassicurante, apparentemente innocuo: sto parlando di te la sera che hai deciso di scolartene sei di fila perché “tanto non mi fanno niente”. Chi sceglie il limoncello apre le porte all’oblio lasciandosi alle spalle insicurezza e buone – ma pur sempre scarse – intenzioni. Nota di (de)merito per quello fatto in casa: l’aromatizzazione al limone dell’alcol 96% non è niente male per sbloccare la timidezza della prima volta a casa dei tuoi suoceri.

Long Drink: l’indeciso

Ordini un long drink quando non sai bene chi sei, ma vuoi sembrare uno che ha le idee chiare. Gin tonic, Cuba Libre, Mojito: un catalogo di opzioni standardizzate che fanno sentire sofisticati senza rischiare troppo. Il long drink è l’equivalente alcolico di un profilo LinkedIn ben curato ma vuoto. Il bevitore di long drink ha sempre una storia in standby, un lavoro in transizione e almeno due relazioni in sospeso tra le chat archiviate su WhatsApp. Non osa, ma s’inserisce ovunque. È il coltellino svizzero della nightlife: mai fuori posto, mai davvero utile e memorabile.

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