di Luca Burei
Anni fa facevo la E45 quasi ogni settimana, vera e propria espiazione di qualche peccato che dovevo aver commesso tempo prima. Non mi ricordo chi mi consigliò di fermarmi a mangiare a San Piero in Bagno da un giovane cuoco (Gianluca Gorini) che aveva appena aperto un ristorante che prometteva assai: daGorini, in via Giusppe Verdi, 5.
Seguii il consiglio, due volte, e poi mi sono portato appresso la voglia di tornarci senza mai riuscirci, per un motivo o l’altro, cancellando almeno tre prenotazioni.

Poi, per caso, scendendo giù da nord-est, tento la fortuna e mi dice bene: c’è posto, i tempi sono giusti, la voglia pure. Confesso che da un po’ di anni ho una certa difficoltà psicologica nei confronti del menù degustazione: per farla breve, senza giri di parole, tutto ciò che supera le cinque portate alla fine mi satura i sensi e mi annoia. Colpa mia, certamente, e anche un po’ di certi chef che indugiano a mettere in tavola la supercazzola, tecnicismo proporzionale solo al senso di inutilità che lascia.
Libertà, concretezza e intelligenza in carta

Qui però, oltre ai menù da sette e nove portate – il primo sui classici e il secondo stagionale – ce n’è uno da cinque portate, a mano libera, da scegliere sulla lista delle vivande. Ovviamente uguale per tutto il tavolo, ma con l’intelligente libertà di potersi sbizzarrire sul dessert secondo il gusto di ciascuno.
Ora ci si aspetterebbe che a questo punto io mi metta a descrivere i vari piatti, cosa che di norma mi tocca fare perché va bene raccontare le emozioni e i rimandi suggestivi, ma poi bisogna scendere sul concreto per attivare le ghiandole salivari e creare coinvolgimento emozionale. Qui, però, mi risulta difficile, veramente difficile.

Il punto è che non sono i singoli piatti a rendere la cena una delle più piacevoli degli ultimi anni – anche se i singoli piatti sono molto, molto buoni – ma l’esperienza complessiva e, soprattutto, la solidità di una cucina che usa tecniche e materia per raggiungere la concretezza, l’essenziale del gusto. Una cucina che lavora per sottrazione, senza ricercare lo stupore dell’influencer che c’è in noi, osando perfino con note amare, che nella deriva dolciastra dei nostri giorni non è da poco.
Il fuoco, la brace, il sapore
Qui l’agnello cotto sui carboni, camomilla, fave, lattuga e zenzero è tanta roba – tecnica, materia prima, quantità e, dulcis in fundo, bontà – e il fatto che sia servito in tre momenti, con lo spiedino di cuore e la polpetta fritta di collo a chiudere, risponde certamente alla voglia di raccontare un percorso e di sottolineare la diversità di cotture e pezzi. Ma vien difficile poi immaginarselo diverso, quasi che fosse definitivo.

Così è anche per il piccione scottato alla brace, estratto di alloro e cipolla al cartoccio, piatto difficile per la sua perfetta non cottura – eppure è nei menù da più portate, e anche questo è un segno.
O, riavvolgendo il nastro della cena, per il carciofo ripassato alla brace, salsa di carciofo e pesto nero di erbe tostate: un’entrata poco ammiccante, perfino ostica, quasi una dichiarazione di intenti. Una linea che prosegue con la pasta ripiena di cacciagione, brodo di funghi, alghe, verdure e spuntature. E per finire, dopo le due pietanze, la versione personale della zuppa inglese che a me, di solito, non piace e non prendo per il suo ricorrente disequilibrio, e che qui, invece, ho trovato buonissima.
Una regia silenziosa, senza ansie da prestazione

A completare la bella serata contribuiscono anche una carta dei vini molto ben fatta, piena di etichette interessanti e non banali, che può soddisfare sia chi vuole la bottiglia di pregio, sia chi non vuole svenarsi, il tutto con ricarichi più che corretti – per i pornografi ho preso la Vitoska 2023 di Marko Fon – e un servizio cortese e attento, senza mai essere ansiogeno.
Dopo aver salutato lo chef Gianluca Gorini, che cortesemente aspettava i clienti all’uscita, mentre camminavo per le vie del suggestivo borgo, mi sono detto che da Gorini, a San Piero in Bagno, bisogna venirci più spesso. Perché, oltre alla qualità del cibo e a spendere meno di quello che ci si aspetta in uno stellato, si sta proprio bene e si esce contenti e lievi, il che, di questi tempi, è gran cosa.