FOOD di Paolo Fresu e Omar Sosa – 2023 Tuk Music

di Luca Burei

Me so’ detto: potrei scrivere un pezzo per Foodzilla, per Smoking (la Fumelli, come l’ho sempre chiamata). Ha fatto un po’ fatica a capire ma poi, quando le ho detto che l’album si chiamava Food, le sinapsi si sono finalmente allineate e mi ha detto va bene.

Ora però devo scrivere qualcosa sull’ultimo album di Paolo Fresu, il trombettista sardo, che ha fatto in collaborazione con Omar Sosa, il pianista cubano. E poi c’è anche Jacques Morelembaum, violoncellista brasiliano, Indwe, cantante africana, Andy Narell, percussionista americano e Cristiano De Andrè, italiano italiano.

Insomma, come in una di quelle tavolate in cui ognuno porta del suo dalla sua terra, con le sue origini, mette in mezzo, condivide e prende dall’altro in un casino gioioso di cibo spartito, storie incredibili, ricordi a mezzi, bicchieri vuoti e il tempo che batte lieve e a volte si ferma (se bevi tanto il tempo o si ferma proprio o corre come un matto).

Perché anche qui dentro, cioè in Food, c’è il cibo evocato, ascoltato e raccontato. Da Â çimma, la bellissima canzone di Fabrizio De Andrè cantata dal figlio, alla zuppa berchiddese declamata in stretto dialetto sardo con sotto Fresu che suona la tromba. 

Ma c’è soprattutto tanta bella musica, diversa e mischiata con i rumori delle cucine registrate in giro per il mondo: torchi, ricette, preghiere, tintinnii di piatti e bicchieri, dialetti e lingue, acqua che sgorga e vino che scorre tra una traccia e l’altra, senza mai perdere di vista la curiosità per il mondo, per il cibo, per la gente, per la terra.

Sì perché questo è un album che vuol raccontare di cibo e musica, perché l’uno e l’altra generano (dis)unione e (dis)eguaglianza, uniscono i diversi e aprono all’altro, vivono per la curiosità di chi suona, ascolta, cucina, mangia.

Il pane spezzato con le mani si ricorda nella preghiera di ringraziamento per il cibo che apre l’album (e il pasto), per il gesto che troppo spesso abbiamo scordato, venduti al coltello e al bon ton. Si divide con le mani ciò che si ha così come si prende il ritmo degli altri per ciò che si suona.

Ora sì, certo, a me piace il jazz, ma questo non è solo jazz, ha un altro respiro, un’orizzonte diverso, più ampio che abbraccia Africa, Mediterraneo, Caraibi e America, quella del Nord e quella del Sud, e chissà perché mi ricorda la jambalaya*, anzi mi ricorda la mia prima jambalaya a New Orleans e come mi sono sentito dopo averla mangiata, sazio e fottutamente felice.

(chissà se smoking aka Foodzilla mi fa passare fottutamente…)
 

*La jambalaya è un piatto tipico della Louisiana, negli Stati Uniti. Si tratta di un piatto unico e saporito che combina carne, verdure e riso in un unico recipiente. La jambalaya è conosciuta per il suo sapore ricco e speziato, influenzato dalla cucina creola e cajun.

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