Oggi vi parlo della Cucina Belga…

Rece Rock

di Alex Giuliani

La prima domanda da farsi è: la cucina belga esiste?

Il dubbio mi assale quando, prima di partire per una breve vacanza a Bruxelles e dintorni, ho cercato informazioni sulla gastronomia del luogo. Persino Google, dopo aver digitato “cucina belga”, mi ha mandato sul sito della Ixina Ixelles, una specie di Scavolini fiamminga, che vende piani cottura ad induzione.

Dopo ricerche più approfondite ho scoperto che le specialità più diffuse e popolari sono i famigerati cavolini di Bruxelles (quelli che quando li cuoci sembra sia esploso l’impianto fognario di casa) e le patate fritte. Insomma, roba che ti farebbe preferire persino il Crispy McBacon a 3 euro dopo aver fatto 3 ore di fila. No, sto esagerando.

Devo sfatare subito un mito: in quattro giorni di pranzi e cene in posti di vario genere, non ho visto un solo dannato cavolino di Bruxelles. Io mi aspettavo di trovarli ovunque, anche nei cassetti della biancheria al posto della lavanda. Invece sono introvabili come gli elettori de ‘Il Popolo Delle Famiglia’, il partito di Adinolfi. Non ne esiste traccia nei menu dei ristoranti, nei supermercati o nei rarissimi negozi di ortofrutta. E, detto fra noi, ne ho sentito la mancanza come di una colica renale. 

Le patatine fritte sono invece ovunque. In ogni angolo di qualsiasi città belga troverete una friggitoria affollata in cui poter assaggiare un cartoccio di frites unte come i capelli di Danny Zuko in ‘Grease’ e affogate in una salsa a scelta (maionese, ketchup al curry, senape o la temibilissima salsa kamikaze).  

Rimanendo in ambito ‘street food’, durante le passeggiate nei bellissimi mercatini di Natale ho fatto overdose di tartiflette. Si tratta di un piatto a base di patate (chi l’avrebbe mai detto), formaggio reblochon fuso, cipolla e pancetta (o, in alternativa, funghi) che viene servito a 1150 gradi, temperatura di fusione della ghisa.

Nel migliore dei casi può essere messa in una cialda croccante a forma di cestello che salvaguarderà l’incolumità dei vostri polpastrelli. Nel peggiore invece sarà servita su un finissimo piatto di plastica che, tenendolo sul palmo della mano, vi farà irrimediabilmente perdere le impronte digitali e qualsiasi sensibilità al tatto.

Ho avuto anche l’ardire di mangiare un panino con un bratwurst lungo due palmi della mano di Andrè The Giant, riempito di cipolla talmente pestilenziale che il mio alito è stato inserito nel Protocollo di Ginevra che vieta l’utilizzo di armi chimiche e batteriologiche. 

Per evitare l’ordine di cattura internazionale, potrete invece buttarvi su una sfiziosa (e teoricamente più delicata) raclette,il formaggio sciolto e poi raschiato dentro ad una baguette. 

E se non ne avete abbastanza di baguette, l’unico tipo di pane reperibile qui, potrete farvene anche una riempita di salmone cotto a legna sul momento. Preparazione coreografica e soddisfazione assicurata.

A mandar giù questi panini e piallare definitivamente le papille gustative e l’esofago ci penserà poi il natalizio vin chaud, vino prevalentemente rosso con zucchero e spezie, servito caldissimo. Praticamente una sorsata di lava fusa del vulcano Eyjafjallajökull.

Al ristorante invece, se riuscite a districarvi tra menu scritti rigorosamente in francese e olandese, é obbligatorio provare le celeberrime moules marinière avec frites, ovvero le cozze al vapore con sedano e cipolle in vino bianco. Certo, sebbene non siano neanche paragonabili alle cozze mangiate dal ragionier Ugo Fantozzi da Gennaro o’vibrione, risultano piacevoli e delicate (forse anche troppo). Incomprensibile però la scelta di accompagnare questa portata con le immancabili e dannatissime patate fritte. E’ un po’ come mettere il parmigiano su una grattachecca, ma non resta che adeguarsi.

Sorprendente invece il waterzooi, una zuppa tipica delle Fiandre a base di grossolani pezzettoni di pollo (ma originariamente di pesce), uova, porri e patate. Cremosa e gustosissima, forse la cosa migliore che abbia mangiato in Belgio.

Molto popolare anche il konikn Op Zijn Vlaams Hekooky in Liefmans Fruitesse. Senza che andiate a tradurre questa supercazzola in lingua olandese su Google Translate, si tratta di coniglio stufato nella birra scura fruttata. Un piatto molto delicato anche se mangiarlo senza usare le mani richiede l’abilità di Fabrizio Michelassi, chirurgo di fama mondiale.

“Può accompagnare solo”, come direbbe il biker più perculato del web, la vasta gamma di birre belghe. La maggior parte dei marchi mondiali più celebri (Chimay, Orval, Duvel, Delirium Tremens oltre a tantissime altre birre artigianali) provengono da qui, dove negli ultimi due secoli i monaci trappisti annoiati dalle severe regole imposte nelle abbazie preferivano produrre birra e ubriacarsi come Gerard Depardieu. Praticamente i monasteri da queste parti sono stati la prima sede della Alcolisti Anonimi.  Scegliere di volta in volta la birra giusta è più difficile che scegliere la giusta tinta per le pareti della camera da letto tra i 1144 colori del Pantone.

Passiamo ai dolci. Qui popolarissimi e imprescindibili sono i waffle (o gaufres), di cui esistono due varianti: quella di Bruxelles è di forma rettangolare, più grande, morbida e leggera. Quella di Liegi è invece di forma irregolare, più piccola, croccante e glassata. Dalle parti del Manneken Pis (la celebre e minuscola statuetta del bambino che fa pipì) li troverete anche a forma di organi genitali (foto di copertina). Roba di gran classe insomma. Sopra queste cialde i belgi possono mettere di tutto e in quantità smodate: panna montata, cioccolata, fragole, banane, glasse, caramello, cioccolata, smarties, tric e trac, bombe a mano. E siccome sarebbe troppo complicato pronunciare correttamente la parola ‘maagspoeling’ (lavanda gastrica), vi consiglio di mangiarli semplici o con un filo di zucchero a velo sopra.

Un trattato a parte meriterebbe la cioccolata belga. Ci sono laboratori e punti vendita ovunque che producono cioccolatini e tavolette di ogni tipo, forma e fattura. Per la belva di ‘Fracchia la belva umana’, ferocemente allergico al cacao, il Belgio rappresenterebbe l’inferno in terra. Impossibile provare tutte le tipologie di pralinessemplici o ripiene, truffes (tartufo di cioccolato), mendiant (dischetti di cioccolata guarniti con frutta secca o scorzette di agrumi canditi) o coquillages(i famosissimi cioccolatini a forma di conchiglia e cavalluccio marino). Assaggiare tutte queste delizie vi farà tornare l’acne come quando avevate 14 anni, il colesterolo a 300 e un girovita simile a quello di Peter Griffin. 

Tra le bancarelle natalizie potrete anche imbattervi in stucchevoli blocchi di pate de fruit (gelatine di frutta) e di nougat  (mandorlati a base di albume e miele) grossi come i blocchi di pietra usati dagli Inca per le mura pre-colombiane, provocanti una serie di carie dentarie che garantirà un ricco vitalizio al vostro dentista di fiducia. 

Dopo 4 giorni qui ho ormai la stazza di Hercule Poirot (che, non a caso, era belga) interpretato da Peter Ustinov, ma ho anche una certezza: la cucina belga esiste. Ma non è detto che questa sia una buona notizia. 

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Una risposta

  1. Avatar Gianluca Ruocco
    Gianluca Ruocco

    Certo che per farsi leggere ci vuole una certa inventiva ! Non so chi vi abbia consigliato « la tipica cucina belga » , ma non è sicuramente quella che ho letto nell’articolo e tantomeno quella nelle foto ! L’erba del vicino fa schifo, perché che che ci fumiamo in Italia arriva dalle nostre campagne 🫣😂👍🏼