“Io il punk non l’ho neanche mai ascoltato” mi dice scocciato “magari I Bauhaus…. e poi basta anche con questa storia del Pirata, credo ci sia molto di più nella mia cucina”.
Così mi saluta Massimo Viglietti appena mi accomodo all’interno della sala del ristorante Relais le Jardin nell’Hotel Lord Byron ai Parioli. Gli osservo il crestino di capelli ormai bianchi sopra la testa rasata e annuisco: “ma sì ma quale punk”, provando a sembrare persuasa. È stufo dello stigma che gli è stato cucito addosso negli ultimi 10 anni dai giornali di settore: punk, pirata, metallaro. Ci si sente stretto e lo dichiara.
Un po’ rockettaro però sì; si può dire. La musica diffusa nell’elegante sala del bar – allestita oggi a ristorante per lavori in corso – consiste in un libidinoso alternarsi di Peter Gabriel, Pearl Jam, Alice in Chains e altri grandi amori della mia vita che raramente ho potuto ascoltare in luoghi di questo tipo. E per me, è già un grande sì.
C’è una tensione creativa tra il nostro cuoco e la proprietà, rappresentata da Francesco Piccinni: neanche 30 anni, capelli ricci abbondanti sulla testa, famiglia con il pedigree dell’Italia per bene, quella che fa impresa e la fa con successo. Ragazzo umile ma deciso.
La tensione è di facile intuizione: il giovane imprenditore che gestisce la casa deve far quadrare i conti e riportare successi e insuccessi alla Holding della sua famiglia; il cuoco ribelle e brontolone invece scalpita e vorrebbe una libertà totale e incondizionata. Ma qualche regola – non troppe a dirla tutta – hanno l’effetto detonante su una personalità come questa che paradossalmente finisce col dare il meglio di sé. E se non è il meglio, ci siamo quasi.
Tensioni dicotomiche presenti ovunque si volga lo sguardo: tra l’eleganza vintage della sala e l’esposizione di quadri d’arte contemporanea, tra giovani gruppi di clienti venuti qui per Viglietti e clienti dell’Hotel, a cui proporre un menu a dir poco inusuale.
E ovviamente tensioni anche nel piatto, contrasti tra ingredienti apparentemente distanti tra loro ma che magicamente prendono senso insieme, con un finish inaspettato quanto semplice e goloso; come nel Gambero crudo, manzo marinato, spuma di brie e sedano rapa (foto sopra).
Ancora dicotomie con Forma e Sostanza, titolo di un brano dei CSI che diventa il nome di una portata a base di lenticchie (forma) e caviale (sostanza), con noci e midollo liquido. Il midollo prolunga il sapore del caviale e le noci quello delle lenticchie incastrandosi perfettamente col resto: un gioco furbo, divertente e molto tecnico.
Ci sono anche altri giochi, come quelli di temperature in questo spaghetto tiepido con bottarga, sostenuto da una ragnatela di sapori che vanno dal sapido all’amaro senza interruzioni, e che forse rappresenta la portata più difficile da servire in un contesto di hôtellerie all’italiana. La pasta fredda: maccheseimatto? Ottimo.
Il main dish, ovvero il piccione, è trattato come fosse un pre-dessert, con cioccolata e confetti sbriciolati sopra, a contrasto con un dessert eccellente a base di verdure e pomodori, giocando con impertinenza e un po’ di divertita arroganza tra certezze, convinzioni e luoghi comuni del classico italiano.
Si può scegliere tra due menu, quello da 7 portate a 130 € e quello da 4 a 85€, vini esclusi.
In conclusione, la visita in questo ristorante per quanto mi riguarda è obbligatoria. Ancora leggibile ma pur sempre pronta a sfuggire alla comprensione, la cucina di Viglietti è generazionale, di quegli uomini e donne adolescenti degli anni 70/80 che hanno vissuto così a fondo la loro età – potente e musicale e piena d’arte – da restarci dentro cristallizzati, immutati. E lo trasporta nelle sue creazioni che ne ereditano il carattere forte ed eccentrico, con quel pizzico di follia misurata che ci piace tanto e che, a differenza di molti altri, ci regala qualcosa su cui riflettere.
Altamente consigliato.
Relais Le Jardin nell’Hotel Lord Byron
Via Giuseppe de Notaris, 5
00197 Roma