Eterobasico VS Femminista: chi paga il conto al primo appuntamento?

Eterobasico VS Femminista 2

di Ludovica Farrelly

Seguiamo il nostro protagonista mentre scende giù per via del Pigneto. Indossa Levi’s, Clarks e un rennino (di Stecco) — outfit perfetto per un primo date, almeno secondo la sua personal stylist: la sorellina di tredici anni. Per queste cose è sempre meglio un occhio femminile, visto che lui non se ne intende.

Dicevamo. In questa versione da Chalamet dei poveri, s’incammina giù per l’isola pedonale. Si sente un esploratore in una terra esotica — Caruccio sto Pigneto, pare un villaggetto di mare, manco diresti che è Italia. Per sicurezza, si stringe il portafogli in tasca.

Eccolo che lo vediamo approcciarsi al luogo stabilito con tavolini e sedie di metallo colorate: varca la soglia del bar-libreria transfemminista e, tutto d’un tratto, si sente bello a disagio. Mai avrebbe pensato che essere beato tra pischelle potesse essere così destabilizzante. Per sottrarsi al contatto visivo, si gira verso gli scaffali accanto all’entrata e si mette a leggere qualche titolo: Sputiamo su Hegel, Fuori le Palle, Postporno. Afferra il primo per capire di che colpe è tacciato il padre dell’idealismo — che a scuola a lui era piaciuta tanto la questione della tesi, antitesi e sintesi — ma le uniche parole che riesce a decifrare sono vagina e clitoride. Oddio. Subito lo rimette a posto.

Fortuna vuole che in quel momento qualcuno gli bussi sulla spalla. È un unicorno: la ragazza femminista che ha conosciuto venerdì scorso a Trastevere e che, per miracolosa congiunzione astrale, gli ha lasciato il numero. Lei sorride, a suo agio, e va al banco a ordinare per entrambi. Guardandola, anche tutto il resto gli incute meno timore. Ti sei fatto spaventare da delle femmine? Aripijati. Respira e si avvicina anche lui al bancone: “Di bianco macerato che avete? Un amico mio, Franchino, c’ha un’azienda biodinamica in Tuscia”. “Bianco o rosso della casa”, lo fredda la barista mentre passa due birre alla spina all’unicorno. Muto, la segue ai tavolini a occhi bassi. Iniziamo bene.

Ignoti giri di alcol e pizzette dopo, il nostro protagonista si è finalmente rilassato. Per questo fa un po’ fatica a capire l’improvvisa tensione nell’aria. È come se tutte le femministe del locale e i pochi uomini presenti lo fissassero con un’unica, opprimente domanda: e mo’ chi paga?

Il pover’uomo sbianca e suda freddo. E chi ci aveva pensato. Guarda lei, così bella davanti a sé che parla, ma non ha idea di cosa stia dicendo. Cerca di fare mente locale sui consigli di Stecco, che a detta sua con le tipe emancipate ci sa fare: “Se non sai che dire, parlagli di qualche intellettuale. Marx, Pasolini, Sorrentino, vedi che fai colpo”. Per fortuna, ricordando la fine del povero Hegel, il nostro scaltro protagonista decide di non invocare l’aiuto di nessun uomo bianco, vecchio o morto che sia. E mo’ che cazzo faccio?

Le opzioni sul tavolo:

  • l’azzardo supremo: intuire cosa si aspetta lei e poi fare il contrario, per dimostrare spirito d’indipendenza e anticonformismo. (Potrebbe ritorcersi contro manco un boomerang in fronte.)
  • Il classicone old school: offrire tutto, con disinvoltura. E se fa il gesto di tirare fuori il portafogli, esclamare: “Io una donna non la farei pagare mai, va bene tutto ma sennò che uomo sono”. (Se è una femminista prona alla violenza, alto rischio di ceffone in faccia.)
  • Lo scroccone: una possibilità intrigante è accollarle tutto il conto: “Oh ma che figata sto femminismo, sti primi appuntamenti mi spellano sempre. Mi sa che me tocca uscì solo co femministe come voi”. (Spoiler: a un certo punto pure le femministe si stufano di fare le sugar daddy.)
  • La safe bet: dividere tutto alla romana o cavarsela con un disinvolto: “Questa volta faccio io, la prossima tocca a te”. (Bonus point, se detto senza sudare e senza trasformare il momento in una riflessione sulla decadenza dei costumi contemporanei.)

Ahimè, il nostro caro ragazzo è del segno della Bilancia, noto per la scarsa capacità risolutiva. Chiediamo l’aiuto da casa?

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