Rece Rock
Visitato ad aprile 2025
Myto si trova in pieno centro di Roma (Via Arenula, 48) a due passi dal Tevere, dal Ghetto Ebraico e da Campo de’ Fiori. Una zona ottimale grazie al passaggio quotidiano di migliaia di turisti che visitano la nostra città. E io, proprio come se fossi uno di loro, ho deciso di andare un po’ in anticipo per fare una bella passeggiata tra questi magnifici scorci dell’Antica Roma. Peccato che Giove Pluvio, adorato proprio nell’Antica Roma, abbia deciso quel giorno di donare alla comunità almeno 10 millimetri di pioggia all’ora. Praticamente una tempesta tropicale.
Arrivo talmente zuppo a destinazione che sembro appena sceso da un peschereccio del Mar del Nord. L’ingresso al locale è di grande effetto, grazie all’illuminazione sfarzosa e alla ravioleria in vetrina dove due persone preparano ininterrottamente gyoza, con una velocità ed efficienza che, in mano loro, i lavori per il Giubileo sarebbero tutti terminati nel 2023. Un approccio scenografico che lascia presagire cosa troverò appena varcata la soglia: all’interno, un trionfo di luci di ogni colore che in confronto l’incrocio di Shibuya a Tokyo sembra illuminato con le luci perpetue del Verano. Ho rischiato un attacco di fotofobia acuta, ma in compenso mi si sono gonfiati gli occhi come Scrat, lo scoiattolo dai denti a sciabola de L’era Glaciale.

Il locale è davvero imponente e si divide in due piani: il piano terra, dedicato al ristorante, ha un arredamento moderno e piuttosto appariscente con divanetti e specchi. Il piano di sotto si raggiunge tramite una scalinata illuminata con mille led cangianti che mi hanno fatto venire la labirintite, è dotato di un bel bancone bar ed è dedicato all’intrattenimento con dj set e karaoke. Qui si svolge ogni mese la serata Squid Game (ispirata alla celebre serie TV coreana) che mi inquieta non poco: temo si tratti di una gara di karaoke dove i concorrenti eliminati vengono uccisi e poi dati in pasto alle nutrie del Lungotevere.

Ad accogliermi c’è Francesco Hong, giovane imprenditore di famiglia asiatica, manager di sala e ideatore di Myto, insieme all’executive chef Ye Lingjun e al sushi man Alex Zhang. Mi siedo a un tavolo posizionato sotto l’enorme lampadario customizzato che sovrasta la sala, talmente grosso che la Lampada Osram della Stazione Termini, di settantiana memoria, a confronto sembrerebbe un fiammifero Minerva. Ma nonostante il lampadario sia così grande, un cerino farebbe più luce. Non avendo la capacità visiva notturna del barbagianni, per leggere il menu uso la torcia del telefono. La proposta è molto varia e abbraccia ricette di diverse nazioni come Cina, Corea, Giappone e Thailandia. Puoi trovare sushi, sashimi, ravioli, maki, noodles, ramen, pokè e tanto altro. Nonostante la proposta sia sofisticata, i prezzi sono adatti a tutte le tasche, da quelle a chiocciola del pezzente di Centocelle (come me) a quelle bucate del fighetto di Ponte Milvio.

Come antipasto arriva una tartare di gamberi e salmone con erba cipollina, salsa ponzu e uova di salmone (ikura) adagiate su una sottile cialda a nido d’ape, il tutto servito in un cestello di alga nori croccante. La presentazione è spettacolare, come pure il suo sapore fresco e un po’ agrumato. Forse avrei dovuto evitare di mangiare l’alga nori, che mi ha ricordato la consistenza di un foglio da acquarello Fabriano.

A seguire arriva un mix di gyoza, i tipici ravioli giapponesi, coloratissimo quasi fosse la tavolozza di Francesco Cataratta, indimenticato pittore di spicco nelle vendite di Tele Proboscide. Per fortuna questi ravioli non hanno il sapore dei colori acrilici. L’Hao Kao è un raviolo cristallo (trasparente e chiuso a caldo quando l’impasto è ancora bollente) ripieno di gambero, bambù e olio di sesamo. L’Ushi, dall’acceso color rosso mattone come la tinta di capelli di Wanna Marchi, è un gyoza ripieno di vitello e sedano. Il raviolo Cod, di un vivace color viola addobbo funebre, è invece ripieno di merluzzo, funghi e cipolla con top di carpaccio di tartufo. Infine, il Black Ika è fatto con impasto al nero di seppia e ripieno di calamaro. Nonostante mi siano arrivati un po’ freddi (deve esserci uno spiffero nella vetrina della ravioleria su strada), li ho apprezzati molto e fatti sparire come fossi una scopa elettrica della Dyson.

Il Jiamo Pork è invece il panino croccante e sfogliato tipico dello street food cinese riempito con maiale stufato e verdure. Una delle cose più difficili da mangiare senza ritrovarsi il bavero carico di briciole simili a truciolato di legno. Dopo averlo finito, somiglio a un falegname che ha piallato selvaggiamente una tavola di palissandro. Nonostante le difficoltà, ho davvero gradito questo panino, indubbiamente buono e molto saporito.

Il piatto successivo è uno dei più controversi, il maledetto omurice. Una pietanza popolarissima in Giappone di cui fatico a capire il successo. Un po’ come cercare di capire il successo di Tananai, che non è una salsa giapponese ma un cantante. Praticamente si tratta di una omelette messa sopra a una base di riso saltato che il più delle volte è inestricabile senza l’aiuto di almeno mezzo litro di salsa di soia o di Svitol. Praticamente un sampietrino. Nonostante la mia ritrosia e la preparazione un po’ splatter del piatto — con tanto di incisione chirurgica sulla omelette fatta al momento e su cui viene poi versata la salsa di soia — qui da Myto ho mangiato uno dei migliori omurice di Roma. Probabilmente l’abbondante presenza di capasanta e salsiccia francese stagionata nel riso uniti a una sorsata di Vermentino Superiore di Gallura hanno fatto la differenza.

Dopo questa pietanza mi sento già imbolsito come Ronaldo il Fenomeno a fine carriera, ma arriva un piatto con ben otto maki rolls. Comprende il The Queen (tempura di gambero, top di avocado, gambero e stracciatella), il Red & Truffle (salmone, avocado, top di gambero rosso e scaglie di tartufo), lo sfizioso Cocktail Roll (salmone, avocado, top di tartare al salmone, spuma al limone e gelatina allo yuku) e lo Shiwa Roll (riso verde alla rucola, salmone croccante, salsa di stracciatella e semi di lino), il mio preferito del lotto. Il livello della proposta è davvero alto (come pure alto è il livello attuale della mia ipertensione arteriosa).

Ho ormai la mente e le papille gustative talmente offuscate che ho mangiato la successiva porzione di nigiri misti premium con l’annebbiamento tipico di chi ha provato i drink corretti al Quaalude offerti da Bill Cosby.

A risvegliarmi dal torpore ci pensano i Sakura Mochi di riso rosa ripieni di marmellata d’azuki (fagioli rossi). Sono molto profumati e, più che mangiati, potrebbero essere usati in macchina al posto dell’Arbre Magique. Inoltre, il mochi è talmente gommoso che per tagliarlo col cucchiaino mi sono procurato una epicondilite, meglio nota come gomito del tennista. Avrei dovuto farmi prestare una motosega da Javier Milei.

Nonostante questo finale drammatico, paragonabile a quello di Lost, e qualche piccolo inciampo, la cena è stata davvero apprezzabile.
E, a proposito di inciampo, alla fine sono sceso al piano di sotto rischiando l’osso del collo sulle scale pur di ostentare le mie doti canore al karaoke. Ho cantato peggio di Emis Killa senza Auto-Tune. Se fosse stata la serata Squid Game, mi avrebbero eliminato incartandomi come un bozzolo con l’impasto dei gyoza e gettandomi nel vicino fiume Tevere con un omurice legato al piede. Ma, visto che sono vivo, tornerò sicuramente a trovare i ragazzi di Myto.
Myto
Via Arenula, 48
Roma
06 6936 8917