Apologia del rider, ovvero del lavoro che si credeva libertà

rider

di Ludovica Farrelly

C’era una volta, molto tempo fa, una creatura ormai estinta: il sindacalista.
Compito di questa figura era difendere i diritti dei lavoratori, grazie a delle carte magiche chiamate contratti. Quando i capitalisti si facevano prendere troppo la mano, il sindacalista faceva riunire tutti i lavoratori in protesta, così che, insieme, riuscirono a far valere le loro richieste. Per i capitalisti, il sindacalista era una bella scocciatura. Così inventarono un trucco.

Andarono da un lavoratore e gli dissero: “Basta scioperare. Noi non possiamo soddisfare tutti, ma uno solo, proprio te, lo accontentiamo. Ti rendiamo padrone di te stesso, pari a noi. Potrai lavorare solo i giorni che vorrai. Se hai sonno o mal di pancia o vuoi vedere la recita di tua figlia, sarai libero.

Abbagliato da questo scenario, il lavoratore accettò. Aveva una bicicletta, così decise che avrebbe portato il cibo a casa della gente. Quando riusciva, univa lavoro e attività sportiva: due piccioni con una fava.
E nel resto del tempo, la vita.

Fu così che nacque il rider libero professionista. All’inizio, sembrava un affare d’oro: indipendenza, aria fresca, soldi in tasca. La gente gli apriva le porte col sorriso, alla vista delle loro cene calde. Era lui, il sorriso.

Poi, un giorno, mentre correva per una consegna urgente, inciampò in un tombino dissestato. Cadde male, si ruppe un polso. Provò a spiegare la situazione all’app. Nessuna risposta.

Il giorno dopo non poté lavorare. Né quello dopo o quello dopo ancora.

Vide il suo profilo venire superato da più e più rider comparsi dal nulla. Le tratte che copriva di solito vennero subito assegnate ad altri. Per farsi riabilitare il profilo dovette accettare paghe sempre più basse: 3 euro a consegna, spesso meno. Quando cercava di parlare con i capi, l’unico modo era farlo tramite l’app, e l’app rispondeva di prendersela con l’algoritmo.

Non riusciva a lavorare, ma non poteva permettersi di non lavorare. Era incastrato. Quando capì di non poter più resistere, il lavoratore si ricordò di quel baffuto signor Sindacalista e decise di andarlo a trovare a casa. Camminò a lungo, sotto la pioggia. Ma arrivato lì, trovò solo un edificio vuoto, in stato di abbandono.

La targa arrugginita diceva: “Sindacato”. Dentro, il nulla.

Gli dissero che non c’era più. Si era ammalato di dolore quando tutti i lavoratori avevano preferito sé stessi alla collettività, senza capire che così facevano il gioco dei capitalisti, rinunciando volontariamente ai loro diritti.

Questa volta, nessuno visse felice e contento. A parte il capitalista.

*Nel 2023, secondo il rapporto INAPP, il 78% dei rider italiani guadagnava meno di 800 euro al mese. Il 91% non godeva di alcuna tutela sindacale reale.

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