Ci sono ingredienti che nascono nobili, e altri che lo diventano col tempo. Il Portobello appartiene alla seconda categoria: un fungo che per decenni è stato considerato uno scarto, e che oggi troneggia nei piatti vegetariani, nei burger gourmet e nei menu dei ristoranti più attenti alla materia prima.
Tutto comincia nei campi di funghi. Durante la coltivazione, capita che alcuni esemplari crescano più del previsto: diventano grandi, scuri, con le lamelle ben aperte. Per i coltivatori, abituati a vendere piccoli champignon bianchi perfetti, quei funghi maturi erano un problema. Troppo grandi per i cestini, poco presentabili, difficili da conservare. Così, per anni, finivano accantonati, usati per consumo interno o scartati del tutto.

Poi qualcosa è cambiato. Qualcuno ha notato che, una volta grigliati, quei funghi avevano una consistenza carnosa, un sapore profondo, un profumo che ricordava la terra e il legno. Non erano più un difetto, ma una scoperta. Bastava osservarli con occhi diversi. Da quel momento, il Portobello ha iniziato il suo percorso di riscatto.
Negli anni Ottanta, mentre la cucina vegetariana iniziava a farsi strada e i ristoranti “naturali” cercavano nuove suggestioni, quel grande fungo marrone divenne improvvisamente interessante. Ma per renderlo vendibile serviva qualcosa di più: un nome capace di dargli identità. Così nacque Portobello.
Un nome che non significa nulla, ma suona bene. Elegante, un po’ esotico, vagamente italiano: perfetto per far sembrare raffinato ciò che fino al giorno prima era considerato un avanzo. Il nome fu il vero colpo di genio. Bastò chiamarlo Portobello perché quel fungo maturo diventasse, d’un tratto, un ingrediente gourmet. Lo stesso prodotto che fino a poco prima veniva scartato, ora veniva esposto nei mercati con etichette dorate e servito nei bistrot come piatto di punta. Un semplice cambio di nome, e tutto cambiò.

Oggi il Portobello è amato per la sua versatilità. Grigliato, sprigiona un aroma intenso e leggermente affumicato; farcito, diventa un piccolo scrigno di sapori; nei panini, sostituisce la carne senza farla rimpiangere. È l’ingrediente ideale per chi ama la cucina vegetale ma non vuole rinunciare alla sostanza.
Il segreto del suo successo è tutto nella consistenza: spessa, soda, quasi muscolare. Quando cuoce, non si sfalda come gli altri funghi, ma si comporta come una bistecca. È perfetto per essere marinato in olio, aglio, erbe aromatiche e aceto balsamico, e poi cotto sulla griglia o in forno fino a doratura. C’è chi lo serve intero come burger, chi lo taglia a listarelle per arricchire risotti o paste, chi lo usa come base per pizze leggere e gluten free.
Oggi il suo profilo massiccio e il colore caldo compaiono sulle copertine dei magazine di food, nei piatti degli chef stellati e nei menu plant-based. Un destino impensabile per un fungo che, fino a pochi decenni fa, finiva nel mucchio dei rifiuti agricoli.
Da scarto a star: il Portobello è la prova che, in cucina come nella vita, a volte basta solo cambiare punto di vista.