Influencer e ristoranti: il nuovo trend dei content creator?

Negli ultimi anni molti influencer italiani hanno trasformato la propria fama digitale in progetti gastronomici reali, tra fast food e osterie autentiche. Alcuni riescono a portare qualità e coerenza, altri si fermano alla trovata mediatica.

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Negli ultimi anni sembra che ogni influencer o youtuber con un seguito decente prima o poi finisca per aprire un ristorante. È una tendenza che parte dai social e si materializza in piatti, insegne e menù, come se la popolarità online avesse bisogno di una controparte reale, fatta di panini, tavoli e clienti veri. L’idea di fondo è sempre la stessa: se sei riuscito a farti seguire per come mangi o cucini davanti a una telecamera, perché non provare a farlo anche dal vivo? Ma il passaggio dal feed di Instagram alla cucina di un locale non è mai indolore, e il risultato, spesso, oscilla tra la trovata commerciale e il tentativo sincero di portare qualcosa di nuovo.

Junkfully

Prendiamo i Junkfully, ad esempio, diventati un punto di riferimento per gli amanti del fast food grazie alle loro recensioni online e al tono ironico con cui raccontano hamburger e patatine. Dopo anni di contenuti digitali, hanno deciso di trasformare la passione in impresa e hanno aperto Fully Burgers and Fries, un fast food che rilegge in chiave moderna il classico burger americano. Il risultato? Più che dignitoso. I due ragazzi romani stanno spaccando con il loro locale a Lugano.

Franchino Er Criminale

Un approccio molto diverso, quasi opposto, è quello di Franchino Er Criminale, youtuber romano diventato famoso per le recensioni schiette e un linguaggio diretto, spesso condito da parolacce e ironia ruvida. Il suo locale, aperto a Torino, si chiama Senza Pretese: un’osteria che dice già tutto nel nome. Niente effetti speciali, niente neon o piatti da fotografare: solo cucina popolare romana, porzioni generose e prezzi onesti. È forse uno dei pochi casi in cui il passaggio dal web alla ristorazione conserva autenticità. Franchino non ha provato a fare il ristoratore chic o il gourmet improvvisato: ha portato la sua veracità in sala e ha lasciato che fossero i suoi piatti a a parlare per lui. E il pubblico, finora, sembra apprezzare.

Ascolta il podcast: Franchino Er Criminale: come ti cambio il cibo sui social

Big Gosha

C’è poi Big Gosha, personaggio esplosivo e sopra le righe, che ha trasformato la sua comicità gastronomica in un vero progetto imprenditoriale con Crispy Cartel, il fast food che porta la sua firma. È un locale pensato come un’estensione del suo mondo: aggressivo, divertente, rumoroso, ma con una base solida di prodotto. Qui non si parla di hamburger qualsiasi, ma di panini croccanti e fritti, spinti all’estremo come piace al suo pubblico. Il nome Cartel non è casuale: richiama la sua estetica provocatoria, ma anche un’idea di squadra, di banda, di identità. Il risultato è sorprendente: tra lo stile street e un menù volutamente esagerato, Crispy Cartel riesce a trovare un equilibrio tra il gusto popolare e una qualità più alta del previsto. Big Gosha, con la sua irriverenza, è riuscito a trasformare il caos dei suoi video in un format coerente e gustoso.

MochoHF

E poi c’è MochoHF, forse quello a cui il salto è riuscito meglio di tutti. Dopo anni di video ipercalorici e ironia contagiosa, è riuscito a trasformare il suo personaggio in un vero brand gastronomico, costruendo una realtà che funziona anche senza il filtro dei social. La sua proposta di panini, collaborazioni e format di delivery è solida, coerente e autentica. Mocho ha capito prima degli altri che per restare credibile bisogna offrire cibo buono, non solo contenuti virali. E così è riuscito dove molti falliscono: ha fatto del suo linguaggio esagerato un marchio riconoscibile, ma ha mantenuto un rispetto reale per la cucina, per il prodotto e per chi mangia. È il caso raro in cui la “paninoteca dell’influencer” non è una trovata, ma un progetto con gambe forti e carne vera.

Ne abbiamo parlato anche qui.

Creare il proprio brand

Questa corsa all’apertura di locali da parte degli influencer nasce da una logica precisa. Il mondo digitale è volatile, cambia in fretta, e la popolarità di oggi può svanire domani. Avere un ristorante, un fast food, una dark kitchen è un modo per mettere a terra il proprio brand, trasformare la visibilità in qualcosa di tangibile. È la ricerca di una forma di legittimità, quasi un modo per dire: “Non sono solo un tizio che mangia in video, sono qualcuno che produce, che investe, che costruisce”. Ma la realtà della ristorazione è molto meno glamour di un reel. Gli affitti si pagano ogni mese, le recensioni di Google pesano più dei like, e i follower non sempre diventano clienti.

In fondo, la differenza la fa la sostanza. Ci sono progetti che resistono perché costruiti su una passione vera, e altri che si sgonfiano appena passa la curiosità iniziale. Fully funziona perché dietro ci sono due persone che il cibo lo conoscono e lo rispettano. Senza Pretese convince perché non cerca di sembrare ciò che non è. In alti casi, invece, ci si perde tra il marketing e la mancanza di mestiere. Il pubblico oggi è molto più attento: si fa attrarre dal nome famoso, ma torna solo se il piatto vale la pena.

Forse questa moda degli influencer ristoratori racconta più il nostro tempo che la cucina stessa. In un’epoca in cui tutto è contenuto, anche il cibo diventa storytelling, e aprire un locale serve spesso più a raccontare una storia che a cucinare bene. Ma quando la storia è autentica, e dietro il personaggio c’è qualcuno che sa davvero cosa vuole mettere nel piatto, allora anche il marketing smette di essere solo una strategia e diventa gusto.

tags: Attualità

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