Dove è nato il raviolo? Difficile dirlo. Di sicuro non in un solo posto. Qualcuno, da qualche parte, ha avuto l’idea di racchiudere un ripieno dentro un impasto e di cuocerlo: un gesto pratico, più che poetico. Un modo per riutilizzare gli avanzi, conservare meglio la carne o semplicemente rendere più interessante una manciata di farina. Da quel gesto condiviso, semplice e geniale, sono nati decine di tipi di ravioli in tutto il mondo, tutti simili e tutti diversi: pasta fresca, riso, amidi, fogli sottili, fritture croccanti o cotture al vapore.
L’idea del raviolo viaggia da secoli, seguendo le rotte commerciali e le migrazioni: Marco Polo che riporta dalla Cina il ricordo dei jiaozi, i mercanti arabi che introducono le paste ripiene nel Mediterraneo, le influenze slave e ottomane che arrivano fino all’Europa dell’Est. Ogni popolo ha preso quell’intuizione e l’ha adattata ai propri ingredienti e al proprio clima: carne e cipolla nei Paesi freddi, verdure e spezie dove il sole picchia più forte.
In Italia lo chiamiamo raviolo, ma il concetto attraversa continenti, lingue e climi. In Polonia si chiama pierogi, in Giappone gyoza, in Nepal momo, in Georgia khinkali. In Corea, Vietnam o Thailandia cambia forma e gusto, ma resta riconoscibile: sempre un ripieno che racconta un territorio, una stagione, una cultura. La pasta ripiena è una lingua universale fatta di mani che chiudono, cucine che fumano e tavoli dove si mangia insieme. Ecco un giro del mondo in sette tappe per scoprire i diversi tipi di ravioli e le loro interpretazioni nelle varie cucine.
Pierogi – Polonia

In Polonia i pierogi sono un’istituzione, presenti in ogni casa e in ogni festa. La sfoglia è più spessa di quella italiana, fatta solo con farina, acqua e un po’ di sale, e il ripieno varia a seconda della stagione: patate e formaggio (ruskie), crauti e funghi, carne, ma anche frutti di bosco o amarene per la versione dolce. Dopo la bollitura, spesso si ripassano in padella con burro e cipolla dorata, fino a diventare dorati e profumati.
Nati come cibo contadino e di recupero, oggi i pierogi sono ovunque: nei bar mleczny (le mense popolari) come nei ristoranti gourmet. Esistono persino festival dedicati, come il Pierogi Festival di Cracovia, dove si assaggiano varianti creative con spinaci, zucca o cioccolato.
Gyoza – Giappone

I gyoza arrivano in Giappone dalla Cina, ma qui diventano più leggeri e croccanti. L’impasto è sottilissimo, il ripieno di maiale tritato, cavolo, zenzero e aglio. Si cuociono in padella con una doppia tecnica: prima rosolati, poi “vaporizzati” con un po’ d’acqua, così da ottenere il fondo croccante e la parte superiore morbida.
I gyoza si trovano ovunque — nei ramen bar, negli izakaya, nelle stazioni — e vengono intinti in salsa di soia e aceto con un tocco di peperoncino. Ne esistono anche versioni vegetariane o con gamberi, ma l’anima resta la stessa: street food perfetto, veloce e irresistibile. In Giappone si mangiano come contorno ai piatti principali, ma in realtà potrebbero tranquillamente rubare la scena.
Momo – Nepal e Tibet

Nati nelle regioni himalayane, i momo sono piccoli ravioli di pasta bianca, chiusi a fiore o a mezzaluna. Il ripieno tradizionale era di carne di yak con cipolla, coriandolo e spezie, ma oggi si usano anche pollo o verdure. Si cuociono al vapore o fritti e si servono con una salsa piccante al pomodoro o al sesamo.
In Nepal e Tibet i momo sono simbolo di convivialità: si preparano in gruppo, si condividono caldi, direttamente dai cestelli di bambù. Oggi li si trova ovunque, dai ristoranti di Kathmandu ai chioschi di Delhi, come segno tangibile della fusione tra cucina tibetana e indiana. In molte città nepalesi esistono addirittura catene specializzate solo in momo, ognuna con la sua ricetta segreta.
Khinkali – Georgia
I khinkali (vedi l’immagine in copertina) sono i ravioli georgiani, grandi e succosi, chiusi con un nodo in cima come un piccolo sacchetto. Dentro c’è un ripieno di carne (di solito manzo o maiale) e brodo speziato, che si deve sorbire prima di mordere la pasta. È un gesto tecnico, da imparare: se rompi il khinkali troppo presto, ti scotti e perdi il brodo.
I georgiani ne sono fierissimi: ogni regione ha la sua variante, con erbe di montagna, funghi o patate. Si mangiano con le mani, mai con la forchetta, e sono protagonisti delle supra, le lunghe tavolate tradizionali accompagnate da vino e brindisi infiniti. In alcune zone, i khinkali vengono considerati una prova di abilità culinaria — e di resistenza, visto che mangiarne meno di dieci è quasi un affronto.
Mandu – Corea del Sud

I mandu coreani hanno origini antiche e, come molti piatti di confine, sono frutto di scambi culturali. L’involucro sottile racchiude carne di maiale, tofu, cavolo e noodles di patata dolce. Possono essere fritti (gun mandu), bolliti (mul mandu) o cotti al vapore (jjin mandu), e vengono serviti con kimchi, salsa di soia o zuppe calde.
Durante il Capodanno lunare sono immancabili, perché simbolo di prosperità. Oggi i mandu sono anche cibo da strada: venduti a pochi won nei mercati, pronti da tuffare in una salsa piccante o da addentare per strada con gli stecchini di legno. Esistono anche versioni moderne con ripieni di formaggio o verdure, segno di una tradizione viva e in continua evoluzione.
Nem – Vietnam

I nem rán vietnamiti (conosciuti in Francia come nems) sono forse i cugini più croccanti del raviolo. Involtini sottili fatti con carta di riso, riempiti con carne macinata, gamberi, funghi e vermicelli di soia, poi fritti fino a diventare dorati. Si mangiano avvolti in lattuga fresca con menta, coriandolo e salsa nuoc cham a base di pesce, lime e zucchero.
Nati nel Nord del Vietnam, si sono diffusi in tutto il Paese e poi in Europa, diventando simbolo della cucina vietnamita all’estero. Il bello dei nem è la doppia consistenza: croccante fuori, fresca e profumata dentro. Ne esistono infinite varianti regionali, alcune anche vegetariane o con mango verde, a dimostrazione di quanto il concetto di “pasta ripiena” possa essere elastico e creativo.
Kanom Jeeb – Thailandia

In Thailandia i kanom jeeb sono i ravioli da strada per eccellenza, venduti dai carretti fumanti a ogni angolo di Bangkok. Si tratta di piccoli bocconi di pasta di grano, ripieni di maiale tritato, gamberi e aglio, spesso colorati di giallo con curcuma. Cotti al vapore in cestini di bambù, vengono serviti con salsa di soia dolce e aglio fritto croccante.
Hanno origini cinesi, ma in Thailandia hanno preso un’identità più aromatica e speziata, con sapori che oscillano tra dolce e salato. Perfetti da mangiare al volo, con lo stecchino e una birra fredda, sono il simbolo della cucina street thai: informale, colorata, immediata.
Concludiamo
Da Varsavia a Bangkok, da Tokyo a Tbilisi, la pasta ripiena racconta storie diverse con lo stesso gesto: racchiudere un ripieno in un involucro e cuocerlo. Ogni cultura l’ha adattata ai propri ingredienti, ai propri gusti e alle proprie abitudini culinarie, dando vita a piatti iconici come pierogi, gyoza, momo, khinkali, mandu, nem e kanom jeeb. Il bello dei diversi tipi di ravioli del mondo è proprio questa varietà: forma, cottura e ripieno cambiano, ma il concetto resta immediatamente riconoscibile. Un viaggio tra sapori e tradizioni, che dimostra come un’idea semplice possa trasformarsi in mille interpretazioni gustose, diventando un vero ponte tra cucine e culture.