La pasta fatta a mano è una di quelle cose che l’Italia continua a difendere con la stessa determinazione con cui si custodisce un segreto di famiglia. Non è nostalgia, non è folklore: è un gesto quotidiano che molti conoscono, pochi praticano e pochissimi padroneggiano davvero. Chi lavora un impasto con le mani sa che non c’è scorciatoia: la pasta fresca non perdona, restituisce ogni errore e premia solo chi ha pazienza, occhio e un po’ di ostinazione. È un rito che passa da una cucina all’altra, sempre uguale e sempre diverso, perché ogni territorio ha inventato la propria forma e le proprie modalità di esecuzione.
Tortellini, ravioli, fettuccine: senza dubbio i formati di pasta fresca fatta a mano più noti occupano un grande spazio nel cuore di ciascun italiano. Ma basta spostarsi di pochi chilometri per incontrare tecniche che non sono mai uscite da un paese, nomi che non circolano fuori dalle cucine di famiglia e gesti che sopravvivono solo perché qualcuno continua a farli senza cercare visibilità. È un patrimonio minuscolo ma solidissimo, fatto di spirali arrotolate a mano, dischi timbrati e impasti modellati con movimenti che si imparano solo osservando da vicino.
Oggi scopriamo insieme 9 formati di pasta fatta a mano che restano fuori dal grande giro, ma non per questo meno interessanti.
Casoncelli, Lombardia (Bergamo)

Nei casoncelli, o casonsei come vengono chiamati in molte zone della Bergamasca, il ripieno è la parte essenziale, anche più della forma stessa. Questa pasta ripiena si prepara utilizzando una sfoglia sottile, tirata a mano, che deve essere abbastanza elastica da avvolgere il ripieno senza rompersi. All’interno si colloca un ripieno che varia da una casa all’altra: alcune versioni mettono al centro il contrasto fra amaretti e uvetta, altre preferiscono carne macinata, pane, grana e prezzemolo in proporzioni diverse.
Una volta distribuito il ripieno, il disco di pasta viene richiuso con una piega che crea il caratteristico mezzaluna leggermente schiacciato. La sigillatura richiede precisione, perché l’umidità del ripieno può allentare la tenuta della sfoglia. I casoncelli vengono poi allineati su teli infarinati in attesa della cottura. Il condimento tradizionale unisce burro fuso, pancetta e salvia, un abbinamento che mette in risalto la struttura della pasta e la dolcezza del ripieno.
In alcuni comuni bergamaschi il formato ha ottenuto anche il riconoscimento DE.CO., segno di un legame forte con il territorio e delle varianti locali. Questo formato, semplice all’apparenza, è infatti sostenuto da una tecnica precisa e da una memoria culinaria che rimane viva grazie alle differenze minime — nomi compresi — che ogni comunità continua a preservare.
Strichetti, Emilia-Romagna

Gli strichetti, pasta fresca tipica dell’Emilia-Romagna, presentano una forma che ricorda le farfalle. La base dell’impasto è quella classica della sfoglia tirata a mano, preparata con farina e uova e lavorata finché non raggiunge una consistenza compatta e uniforme. Una volta stesa in una sfoglia sottile, la pasta viene tagliata in piccoli rettangoli regolari. Da qui inizia il gesto che definisce gli strichetti: ogni rettangolo viene pizzicato al centro, creando la caratteristica piega che ne determina la forma.
La pressione deve essere netta ma controllata, perché la pasta non si rompa e la piega rimanga stabile durante la cottura. Gli estremi del rettangolo restano leggermente più spessi rispetto alla parte centrale, un dettaglio che permette di ottenere una consistenza irregolare ma equilibrata. L’asciugatura su teli infarinati aiuta a mantenere la forma, prevenendo che la sfoglia si richiuda o si appiattisca. Gli strichetti risultano così adatti a trattenere sughi densi e condimenti più corposi, grazie alla loro struttura semplice ma costruita attraverso un gesto preciso che definisce la qualità del risultato finale.
Corzetti, Liguria

I corzetti (o croxetti) sono una pasta tipica della Liguria, presente soprattutto nell’entroterra di Genova e nel Levante. La loro storia è legata alle famiglie nobiliari medievali, che utilizzavano stampi in legno per imprimere sulla pasta un simbolo identificativo: stemmi, motivi geometrici o figure semplici. In alcune zone, gli stampi venivano realizzati da artigiani locali e passavano di generazione in generazione.
La pasta nasce da un impasto molto lineare: farina, acqua e una piccola quota di uovo o vino bianco a seconda delle abitudini familiari. Dopo aver ottenuto una sfoglia omogenea, si ricavano dei dischi tramite un tagliapasta e, successivamente, ogni disco viene pressato tra le due parti dello stampo che imprime il motivo. La pressione serve sia a decorare, sia a creare una superficie che trattiene meglio il condimento.
I corzetti non sono tutti uguali nelle diverse aree: nel genovese prevale la versione “stampata”, mentre nel Ponente si trovano varianti a forma di otto schiacciato. In entrambi i casi, la preparazione punta su un impasto elastico e su un’asciugatura breve, così da preservare la definizione del disegno. La cottura è rapida e il formato si lega bene a salse come il pesto leggero, la salsa di pinoli o i sughi alle erbe tipici dell’entroterra ligure.
Cicatelli, Molise / Gargano

I cicatelli appartengono alla tradizione molisana e a quella pugliese del Gargano, due aree in cui la pasta di semola lavorata a mano viene ancora preparata spesso in casa. L’impasto si ottiene con semola rimacinata, acqua e sale, senza aggiunte particolari. La consistenza deve essere elastica, perché la modellatura richiede una lavorazione rapida: dalla sfoglia ricavata si tagliano piccoli cilindri che vengono trascinati con due o tre dita sulla spianatoia per ottenere una forma allungata con una conca centrale. Questo incavo nasce dalla pressione delle dita e definisce la capacità del formato di trattenere i condimenti più densi.
In molte famiglie la dimensione varia, così come la lunghezza del trascinamento, e queste differenze si riconoscono facilmente nei piatti delle varie zone. I cicatelli si consumano con sughi di pomodoro, ragù locali o condimenti più semplici a base di verdure e legumi, soprattutto ceci e cime di rapa. Nelle ricorrenze, compaiono anche versioni più ricche con ricotta dura o mollica tostata. La preparazione resta interamente manuale e si basa su gesti brevi e ripetuti che non richiedono strumenti specifici, elemento che contribuisce alla loro diffusione domestica.
Filindeu, Sardegna (Nuoro)

Il filindeu è una pasta sarda legata alla tradizione di Nuoro e al pellegrinaggio verso il santuario di San Francesco di Lula. Si prepara con un impasto essenziale di semola, acqua e sale. Una base semplice a cui si accompagna invece una lavorazione estremamente complessa. La pasta viene tirata finché raggiunge la giusta elasticità, poi allungata in fili regolari e disposta su un telaio circolare in tre strati incrociati, così da formare dischi compatti composti da centinaia di filamenti.
Poche artigiane custodiscono questa tecnica, tramandata principalmente in famiglia, e la sua rarità deriva soprattutto dalla difficoltà nel padroneggiarla: persino professionisti esperti della pasta fresca faticano a ottenere lo stesso risultato. Il filindeu viene servito tradizionalmente in brodo di pecora durante la festa di Lula, momento in cui la comunità riconosce non solo il valore gastronomico del piatto, ma anche il valore di una conoscenza che rimane circoscritta a un piccolo gruppo di custodi.
Andarinos, Sardegna (Usini)

Gli andarinos rappresentano una delle preparazioni più particolari della pasta sarda, una preparazione che a Usini continua a essere realizzata seguendo gesti appresi e affinati nel tempo. L’impasto nasce da semola, acqua e sale, ma la forma finale si ottiene solo dopo un lungo lavoro preliminare: la pasta deve raggiungere un’elasticità precisa, adatta a essere arrotolata senza spezzarsi. Dall’impasto si ricavano fili sottili e regolari, che vengono avvolti attorno a un ferro da calza o a una bacchetta liscia. La spirale prende forma grazie a una pressione continua e controllata, sufficiente a fissare la torsione senza appiattire l’impasto.
Ogni pezzo richiede una certa rapidità, perché la pasta non deve asciugarsi mentre viene modellata. L’uniformità della spirale dipende dall’abilità di chi la prepara: la distanza fra le spire, la consistenza dell’impasto e la capacità di mantenere un ritmo costante definiscono l’aspetto finale. Gli andarinos, una volta modellati, riposano su teli leggermente infarinati, così da conservare la forma prima della cottura. Il risultato è una pasta minuta, compatta, pensata per raccogliere condimenti densi, ma soprattutto espressione di una tecnica che si affida più all’esperienza della mano che a misurazioni o strumenti.
Fileja, Calabria (Vibo Valentia)

La fileja è un formato tradizionale calabrese, diffuso soprattutto nel Vibonese, dove la lavorazione con il ferretto è rimasta una pratica riconoscibile e ancora molto utilizzata. L’impasto si prepara con semola di grano duro e acqua, lavorato finché raggiunge una consistenza elastica adatta a essere modellata senza rompersi. Dalla massa si ricavano piccoli cilindri, che vengono arrotolati intorno a uno stelo sottile — in passato il dinaciulu, un bastoncino di giunco — e fatti scorrere con la mano per ottenere la forma allungata e cava. Una volta sfilata dal ferretto, la fileja mantiene una superficie leggermente irregolare che trattiene bene i condimenti.
La sua diffusione è legata alla cucina rurale calabrese: un impasto povero, privo di uova, costruito con gesti rapidi e ripetuti. Le famiglie la preparavano nei giorni di festa o per occasioni collettive, e la forma lunga e leggermente arricciata era considerata pratica da stendere, asciugare e conservare. Nel tempo, la fileja ha assunto nomi diversi a seconda della zona — maccarruni ’i casa, fusilli al ferretto, ferretti — tutti riferiti allo stesso principio di lavorazione, mentre la lunghezza e il diametro possono cambiare in base all’abitudine locale.
Tradizionalmente questo tipo di pasta si condisce con sughi di carne, capra o maiale, e preparazioni a base di ‘nduja.
Frizzuli, Basilicata

I frizzuli sono una pasta tipica della Basilicata. Si realizzano innanzitutto mescolando una farina di semola con acqua (talvolta qualche uovo viene aggiunto secondo le varianti locali) fino a ottenere un impasto compatto e ben lavorabile. Dopo un riposo breve, l’impasto viene steso in filoni e segmentato in piccoli bastoncini di circa otto-dieci centimetri; ciascuno di questi bastoncini viene quindi avvolto attorno a un “ferretto” sottile — un tempo ricavato da un vecchio ombrello — e sfilato con attenzione per assumere quella torsione caratteristica che distingue i frizzuli. Una volta depositati sulla spianatoia infarinata, i fusilli al ferretto così formati attendono il momento della cottura: pochi minuti in acqua salata e poi il passaggio al condimento.
In Lucania, la tradizione vuole che il piatto prenda forma aggiungendo una generosa muddica di pane raffermo, sbriciolata e tostata in olio extravergine di oliva fino a diventare croccante, spesso arricchita con polvere di peperone crusco o rafano grattugiato. Il contrasto tra la pasta dalla struttura rustica e il condimento dalla componente croccante e aromaticamente intensa rende l’intero piatto un simbolo della cucina semplice e al contempo curata di quella regione.
Busiate, Sicilia (Trapani)

Le busiate sono un formato di pasta tipico della provincia di Trapani, riconoscibile per la forma elicoidale ottenuta avvolgendo sottili cordoncini d’impasto attorno al buso, un sottile ferro da calza un tempo ricavato dal fusto delle spighe mature. L’impasto si prepara con semola di grano duro e acqua, lavorato finché raggiunge una consistenza elastica idonea alla formatura. Dalla massa si ricavano fili sottili e regolari, che vengono arrotolati sul ferro con un movimento continuo e poi sfilati con attenzione, così da ottenere una spirale compatta e uniforme.
La tradizione colloca le busiate nel contesto rurale trapanese: la forma richiama i gesti legati alla raccolta del grano e l’uso del buso nasce da strumenti facilmente reperibili nelle case agricole. Questo tipo di formato riesce a trattenere bene condimenti corposi, come il pesto trapanese a base di pomodoro, mandorle e basilico, ma anche sughi di carne e preparazioni stagionali. Nel tempo, le busiate sono diventate uno dei formati più rappresentativi del territorio, mantenendo una relazione stretta con le tecniche di lavorazione tradizionali e con la disponibilità delle materie prime locali.
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