Sauli a Garbatella: un’osteria dove andare e poi tornare

Sauli a Garbatella

di Luca Burei

Sono andato due volte di seguito da Osteria Sauli, di fronte all’omonima piazza nel quartiere Garbatella, a Roma. La prima per caso, a pranzo: ero lì vicino, avevo fame e non volevo farmi un panino o un pezzo di pizza. La seconda, invece, per scelta: a cena di venerdì sera. Una situazione ad alto rischio per me, vista la mia intolleranza alla romanesca caciara, al parcheggio difficile e ai due turni. Non tanto per l’orario – ormai mangio all’ora dei pupi e mi va bene così – quanto per la fretta imposta dal contingentamento.

La prima volta

La prima volta mi sono proprio divertito, anche grazie a Francesco Romanazzi – storico sommelier romano (ma non solo), amico naturalista della prima ora – che accompagna la scelta dei piatti e, soprattutto, dei vini con un savoir-faire tutto suo: ironico e al contempo profondo, colto e leggero.

Mi sono divertito per un menu come piace a me: su carta semplice, con una quindicina di proposte e altrettante sulla lavagna, tra le quali è difficile scegliere (nel senso che mangerei di tutto).

Poi bisogna scegliere e quindi: supplì con le rigaje di pollo (saporito), carciofi fritti (alla perfezione), nervetti e cannellini (delicati), gnocchi di semolino con salsiccia e carciofi (daje), pecora alla callara (bona, bona, bona), salame al cioccolato come faceva mia nonna, il tutto innaffiato da qualche bicchiere di un frizzante Schueller che Francesco teneva a farmi assaggiare. E Dio li abbia in gloria (Francesco e anche Schueller).

La seconda volta

La seconda volta, invece, pure.

Sarà che ho parcheggiato facilmente e ho fatto due passi a piedi. Sarà che i tavoli dell’osteria non sono troppo attaccati e non ti sembra di mangiare insieme al tuo vicino. Sarà che in cucina c’è anche Matteo Baldi a dare una mano, ex oste di Epiro.

Sarà che le candele spezzate con la pajata erano da leccarsi i baffi, come il baccalà fritto con le puntarelle e la crema allo zabaione con nocciole tostate e salate.

Sarà che la carta dei vini è a misura d’uomo e sarà che i commensali erano piacevoli, ma la serata è passata in fretta e il fato ha voluto che il tavolo rimanesse libero a lungo.

Ma c’è anche – e va sottolineato – un certo tipo di cucina senza fronzoli, ma consistente, divertente nell’unire piatti non banali e più difficili da proporre – come la pecora alla callara, tipico piatto abruzzese – a proposte più pop, ma sempre attente.

La prossima volta

E poi c’è questo: che Osteria Sauli non è solo un posto dove si mangia bene, ma una storia di amicizia e accoglienza. Dietro ai piatti c’è l’esperienza di Antonello Magliari, Stefania Pinto e Cecco Ciacciarelli, che portano una visione comune, fatta di tradizione, identità e attenzione agli altri.

C’è un progetto che dà senso a tutto, quello costruito insieme alla Casa delle Donne Lucha y Siesta, che forma e accoglie chi ha bisogno di ricominciare.

E tra i soci anche Michele Rech, aka Zerocalcare.

In breve, tutto – dall’arredamento alla proposta dei vini, dal servizio spigliato alla materia prima – parla di sostanza e non di forma, di convivialità e non di apparenza, di tempi giusti e non frenetici.

Insomma: mi sa che ci tornerò per la terza volta. A breve.


Osteria Sauli
Via Giacomo Rho, 3
Roma

Condividi con gusto