Chi ha paura della carne sintetica? Intervista a Massimo Cerofolini

di Lorenza Fumelli

Carne sintetica, carne in provetta, di laboratorio, simulata. Ci sono molti modi per chiamarla e in ogni sua nomenclatura, la carne coltivata è oggi lo spauracchio più allarmante per associazioni e istituzioni (che non avrei mai creduto di vedere dalla stessa parte della barricata). 

Slow Food ha da poco pubblicato il Documento di posizione di Slow Food Italia sulla carne coltivata, che in soldoni si può riassumere in 4 punti

  1. Il cibo è cultura, non è un semplice carburante per far funzionare l’organismo, somma algebrica di proteine, grassi e carboidrati. Con la carne coltivata si perderebbe definitivamente il legame tra il cibo e il luogo in cui viene prodotto, le conoscenze e la cultura locali, il sapere e le tecniche di lavorazione.
  2. per funzionare, i bioreattori dove si moltiplicano le cellule staminali richiedono grandi quantitativi di energia;
  3. molti aspetti della produzione di carne coltivata non sono noti, perché le aziende si nascondono dietro al segreto industriale;
  4. i principali soggetti coinvolti nello sviluppo della carne coltivata sono gli stessi che dominano la filiera della carne, dalla coltivazione della soia utilizzata come mangime fino alla commercializzazione e distribuzione, e puntano semplicemente a un nuovo grande business, seguendo le stesse logiche e gli stessi strumenti (brevetti e monopoli).

Secondo la Coldiretti la produzione di carne coltivata in laboratorio sarebbe dannosa per l’ambiente, rischiosa per la salute umana e favorirebbe il monopolio degli interessi di pochi.  E, ovviamente, anche il Ministro della sovranità alimentare Lollobrigida è contrario: “Il no alla carne sintetica nasce dalle richieste di agricoltori, Regioni e Comuni”.

Tutti uniti, da destra e da sinistra contro il nemico comune: la Good Meat.

Good Meat è la carne coltivata con cellule staminali e ideata dalla start up di San Francisco EAT JUST, in particolare dal visionario Josh Tetrick (il tizio belloccio nella foto sopra). Secondo lui, ovviamente, la Good Meat potrebbe essere una risorsa eccellente contro gli allevamenti intensivi, l’emissione di C02, i virus che si creano in certe condizioni e compiono il salto di specie e il prossimo esaurimento delle risorse per sostenere suddetti allevamenti. Insomma, secondo Tetrick la Good Meat salverà il mondo. 

C’è un nostro giornalista italiano, Massimo Cerofolini di Radio Rai Uno, che è stato a San Francisco e ha intervistato Josh Tetrick imparando ogni cosa sulla tecnica con la quale viene prodotta la carne (e il pesce) in laboratorio e sulle idee che sottendono al progetto. Ma non solo. Massimo, (amico, podcaster, conduttore di Eta Beta) è stato anche nell’unico posto al mondo dove la Good Meat si possa assaggiare: la Huber’s Butchery di Singapore.

Ha assaggiato il pollo sintetico marinato e fritto e in questo podcast mi ha raccontato tutto: sapore, consistenza, metodo di produzione. Abbiamo quindi in esclusiva per Foodzilla l’intervista a Massimo Cerofolini in merito a tutta questa annosa questione e sono felice di potervela trasmettere. Buon ascolto

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