Come riconoscere un progetto sostenibile dal greenwashing? Per esempio Villa Petriolo

di Lorenza Fumelli

Per chi non lo sapesse, il greenwashing è quella pratica scorretta per cui alcune aziende, ristoranti, locali, eventi gastronomici, agriturismi e via discorrendo, si fregiano di avere un approccio attento all’ambiente e alla salvaguardia delle sue risorse animali, vegetali e umane, ma in verità non lo sono affatto. Una pratica a dir poco diffusa in questi ultimi anni, in cui sostenibilità is the new cucina gourmet.

A ufficializzare questo cambio di rotta in ambito gastronomico è stata proprio lei, la rossissima guida Michelin che, per stare ai tempi, ha colorato di verde una delle sue stelle per distinguere, cito: “i ristoranti – presenti nelle nostre selezioni – particolarmente impegnati in una cucina sostenibile“. 

È successo quindi che anche il più truce dei ristoranti – quello che compra all’ingrosso da allevamenti iper-intensivi, maltratta gli stagisti, paga in nero metà degli stipendi, butta quintali di cibo non venduto, eccetera – si sia dichiarato tanto, anzi tantissimo attento alla sostenibilità. Ma dai?

Invece, Villa Petriolo

Villa Petriolo è una villa-fattoria rinascimentale sulle colline di Cerreto Guidi, vicino a Empoli (provincia di Firenze). L’ho visitata in occasione di un viaggio in Toscana, attratta anche dalla presenza della Stella Verde al ristorante PS, il gourmet della struttura.

Questa straordinaria tenuta è stata comprata all’asta nel 2018 e poi riportata alla sua gloria da Daniele Nannetti, già dirigente in ambito hôtellerie, e dai facoltosi imprenditori messicani Cuadra. Villa Petriolo dichiara la massima attenzione alla sostenibilità.

Come faccio a sapere che non si tratta di greenwashing?

Beh, intanto stiamo parlando di 170 ettari di coltivazioni biologiche dove si producono grano, foraggi, olio, vino, carne e miele. Ci sono le capre, i maiali (di cinta senese), le pecore, le galline e perfino le api nei loro alveari. Vivono meglio di quanto non viva io a Roma Capitale: praticamente allo stato brado (loro). Si possono incontrare passeggiando per il podere e, naturalmente, contribuiscono al ciclo produttivo di tutto il sistema.

Altri segnali che non si tratta di greenwashing: lo sfruttamento dell’energia solare (termica e fotovoltaica) è la principale fonte energetica mentre tutta l’acqua viene riciclata attraverso un depuratore che la raccoglie e la impiega sia per la tenuta che per le attività agricole.

Anche le risorse umane ricevono una speciale attenzione in questo contesto: la forza lavoro di circa settanta dipendenti, con un’età media di 32 anni, proviene da un raggio di 12 chilometri dalla tenuta.

E non si tratta di greenwashing anche perché, oltre a tutto quello che abbiamo detto sin qui, la struttura ha ottenuto diverse certificazioni di sostenibilità, tra cui l’ISO21401 per il turismo sostenibile e il premio Best Sustainable Place 2021 di Save the Planet. Per dire.

Quindi qui si fa sostenibilità per davvero. Certo, costosissima da realizzare e quindi venduta come prodotto di lusso ai clienti (di cui moltissimi stranieri), ma d’altronde è l’avanguardia che guida i grandi cambiamenti tecnologici, partendo da forze economiche che possono permetterselo.

Come si mangia a Villa Petriolo

Lo chef responsabile della preparazione di tutti i cibi della tenuta è Stefano Pinciaroli, vero sostenitore del territorio in cui vive e lavora e delle sue tradizioni ed eccellenze.

L’offerta gastronomica si snoda in due format principali: il PS e l’Osteria di Golpaja. Quest’ultima, nella foto sopra, prende il nome da uno dei poderi storici di Villa Petriolo. Ho amato parecchio la proposta dell’osteria, la vorrei sotto casa per farci un salto ogni tanto e ordinare la Pasta al ragù di cinta senese, i cappelletti con prosciutto e fonduta di Grande Magi e tartufo nero o la Rosticciana di cinta, costine di maiale laccate al miele prodotto in Villa e patate. Che goduria.

Al PS invece le ambizioni sono più alte. Il progetto nasce nel 2010 dalla volontà di Stefano Pinciaroli e Lorenzo Caponi. Abbiamo assaggiato piatti dai due diversi menu: Istanti (euro 155) e Dall’orto (solo vegetale per 110 euro).

Ho apprezzato particolarmente la mano decisa di Stefano che non manca di coraggio nelle cotture e negli abbinamenti. La Fregola Incinta di Seppie, ovvero Fregola, seppie, prosciutto di Petriolo – a parte il nome leggermente naïf – è un piatto potente, dove il cuoco mixa il mare con la terra in modo affatto scontato, azzeccato.

O l’eccellente La Regina Bianca, ossia Chianina alla brace, insalata, Mezcal. Senza dubbio è un omaggio – obbligatorio – al territorio, ma è realizzato con lo spirito di chi non sacrifica sull’altare del local ogni singola preparazione e invece spazia quel tanto che basta per creare qualcosa di nuovo e di davvero buono.

Al PS si mangia molto bene e si bevono solo vini Toscani, come scelta della proprietà di dare valore al territorio. Non solo vini prodotti dalla tenuta però, i famosi Cerreto Guidi (sono una fan del loro bianco), ma diverse eccellenze toscane.

Se non avete le finanze per farvi una vacanza in questo posto incredibile – prendere il sole nelle piscine infinity, passeggiare tra i vigneti e godere della SPA appena inaugurata – direi che però un salto all’Osteria o al PS sia accessibile ai più, anche solo per vedere questo spazio fuori dal tempo, simultaneamente iper-moderno e rurale.

Insomma, ve lo consiglio vivamente e se passate dalle parti di Empoli siete a 15 minuti.


Villa Petriolo
Via di Petriolo, 7, Cerreto Guidi
FI

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