RECE ROCK: La Locanda del Capitano del Popolo, Pistoia

di Alex Giuliani

Mi trovo nella vivace Pistoia per assistere l’indomani ad uno dei concerti del suo famoso Blues Festival, in una delle giornate più calde dell’anno. E allora perché non andare a mangiare un po’ di zuppe tipiche toscane servite a temperature laviche in un ristorante dove non ci sono condizionatori e avendo di sottofondo la musica mesta e malinconica dei Baustelle che stanno suonando in Piazza del Duomo? Una combinazione di torture che neanche il Marchese de Sade e il barone Sacher-Masoch avrebbero concepito.

Entro nella gettonata e pittoresca Locanda del Capitano del Popolo, in via di Stracceria 7, adiacente alla suddetta piazza. Il locale sembra un mercatino d’antiquariato in cui ti devi divincolare tra vecchie chitarre, trombe, fisarmoniche, pentole, sculture in stile Modigliani e addirittura un Garelli Vip, uno scassone di motorino degli anni ottanta che i vecchi catorci come me ricorderanno sicuramente. Ora che sono entrato io, la collezione di pezzi antichi appare più completa.

Scelgo il tavolo più vicino al ventilatore che però ha la stessa efficacia di uno hobbit che cerca di spegnere il fuoco del Monte Fato soffiando in una cannuccia. Guardo il menu e sorrido leggendo i commenti riportati accanto alla descrizione dei piatti: si passa da ‘FA-VO-LO-SI’ a ‘SENSAZIONALI MA DAVVERO’, da ‘BUONA E-SA-GE-RA-TA’ al più folkloristico ‘MAREMMACANE’. Tutto rigorosamente scritto in maiuscolo. Insomma, come si dice dalle mie parti, qui ‘se la cantano e se la sonano’.

Come un novello Tafazzi armato di mazza chiodata, decido di partire con due zuppe calde e palesemente invernali. Il carcerato è una specialità medievale pistoiese a base di rigaglie di vitello e pane raffermo. La sua storia è piuttosto singolare: pare che anticamente il carcere di Pistoia fosse circondato dai macelli cittadini e che i galeotti chiesero ed ottennero che gli scarti del vitello potessero esser destinati a loro per farne una zuppa.

La mia viene servita in una scodella di alluminio rovente come il volante di una cabriolet parcheggiata da mezzogiorno alle tre sotto il sole di ferragosto. Io l’ho ovviamente afferrata con entrambe le mani, rischiando di buttarla via e di battere il record di lancio del disco di Jurgen Schult. Nonostante abbia perso la sensibilità dei polpastrelli, la zuppa si è rivelata buonissima. Anzi, come scriverebbero qui, BUO-NIS-SI-MA! Tanto che per fare un bis sarei disposto a farmi arrestare e rinchiudere nel carcere di Pistoia dove questa delizia è nata.

La minestra di fagioli con farro, servita in un coccetto, è saporita ma un po’ più canonica e decisamente più restia al raffreddamento, neanche fosse un reattore della centrale nucleare di Fukushima.

Dopo esser sopravvissuto alle temperature di queste due portate, potrei lavorare senza problemi davanti ai forni per la fusione del ‘bronzo B20’ nella vicina Ufip, la fabbrica di piatti per batteria. Quindi, nonostante sia già sudato e affaticato come Barry White a fine concerto prima di un bis, non mi fermo e ordino due secondi.

Il peposo dell’Impruneta, descritto nel menu come ‘IRRESISTIBILE E CREMOSO’, è un tipico spezzatino di muscolo di manzo stufato nel Chianti con pepe e aglio. In effetti si rivela molto gustoso e talmente tenero che potrebbe diventare il mio piatto ideale in vecchiaia, quando avrò perso entrambe le arcate dentali.

Sono invece rimasto un po’ deluso dal filetto di petto d’anatra al Chianti con fagioli zolfini. L’anatra, un pò pallida, probabilmente soffriva di vitiligine come Michael Jackson nel periodo post ‘Bad’ e per trovare tracce di Chianti ho dovuto chiamare i RIS di Parma.

Per fortuna il contorno di funghi fritti, quelli ‘FA-VO-LO-SI’, accompagnato dall’ultimo bicchiere di onesto vino rosso di Vinci, mi ha fatto tornare il sorriso.

In chiusura un grande classico che non delude mai: cantucci di Prato (quelli di mandorle) con vinsanto. Un’accoppiata imprescindibile, come Sandra e Raimondo Vianello.

Pago il conto senza fretta ed esco piuttosto soddisfatto e di buon umore. Durerà poco: i Baustelle non hanno ancora finito il loro concerto e me li sono dovuti sorbire di sottofondo anche lungo la strada di ritorno all’hotel. Uno sbalzo umorale drastico e repentino come quelli di cui era vittima Fantozzi nei primi giorni di andropausa.


Locanda del Capitano del Popolo
in via di Stracceria 7
Pistoia

Foto di Alex Giuliani

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