Il grande bluff del ragù alla bolognese formato scorta | International Mappazzoni

In questo articolo smontiamo il mito del ragù alla bolognese multitasking, nato per quantità e praticità, ma lontano dalla tradizione e dal gusto autentico. Scopriamo la differenza tra una versione industriale e il vero ragù fatto con pazienza, ingredienti scelti e cottura lenta.

Il grande bluff del ragù alla bolognese formato scorta | International Mappazzoni - immagine di copertina

Benvenuti su International Mappazzoni, la rubrica che nessun italiano ha mai chiesto ma di cui tutti sentivamo il bisogno. Perché sì, a volte l’estero prende i nostri piatti, li coccola, li reinventa e li distrugge.

Dopo la prima (s)fortunata ricetta rivisitata, oggi tocca a un classico della cucina italiana: il ragù alla bolognese.

C’è chi cucina il ragù per passione e chi lo prepara in modalità catena di montaggio. C’è chi lo lascia sobbollire per ore e chi preferisce farne scorte da infilare nel freezer. Lo hanno chiamato big batch, un nome che suona più come un’operazione logistica che una ricetta. Ma cosa succede quando uno dei simboli della cucina italiana viene trasformato in un pastone multitasking, pronto da scongelare e usare ovunque? Spoiler: niente di buono.

Il sugo multitasking

Abbiamo scovato questa versione del ragù alla bolognese su un sito di cucina internazionale, dove quantità fa rima con genialità. O quasi. La ricetta si apre con un soffritto in grande stile: olio d’oliva, pancetta affumicata, cipolle, carote e sedano. Tutto tritato, tutto rosolato per una ventina di minuti. Poi si aggiungono aglio, erbe secche, alloro e i funghi. Sì, i funghi, perché a quanto pare in questo ragù c’è spazio per tutti. Il risultato è una base vegetale aromatica, abbondante e quasi stufata.

Nel frattempo, la carne viene cotta a parte, in più riprese, come se si stesse gestendo un turno in mensa. Il manzo, o un mix con il maiale, viene rosolato e poi unito al resto.

E poi arrivano i rinforzi: sei lattine di pomodori pelati, sei cucchiaiate di concentrato, un bicchierone di vino rosso (opzionale, ma raccomandato), aceto di vino rosso e anche un cucchiaio di zucchero. Non è chiaro se lo zucchero serva ad aggiustare l’acidità o ad ammettere, con discrezione, che sì, forse, si è un po’ esagerato con il pomodoro.

Tutto questo ben di Dio viene fatto sobbollire per un’oretta, giusto il tempo di fargli prendere forma, stringersi un po’ e trasformarsi in una salsa densa e saporita, pensata per essere porzionata, congelata e riscaldata all’occorrenza. È un sugo nato per vivere a lungo e adattarsi a tutto: pasta, lasagne, patate ripiene, toast del giorno dopo. Un ragù flessibile, versatile, instancabile. Ma anche, diciamolo, irriconoscibile.

Il vero ragù alla bolognese

Ragù alla bolognese

Quello autentico ha un’altra voce, un altro tempo, un’altra intenzione. È fatto di pazienza e proporzioni equilibrate. Il pomodoro non domina, accompagna. La carne è scelta con cura, non messa a caso. Il latte c’è, eccome se c’è. Non sempre lo si usa, ma nella ricetta tradizionale serve a smorzare l’acidità e a dare rotondità al piatto. E poi c’è la cottura lenta, lunghissima, durante la quale il sugo si trasforma da insieme di ingredienti a storia da raccontare.

È un piatto che nasce per stare sulla pasta, non per finire in vaschette da microonde. Si lega alle tagliatelle come se fossero una cosa sola e non ha bisogno di trucchi per farsi ricordare. Il ragù alla bolognese vero non è mai multitasking. È unico, ed è proprio per questo che funziona.

Chiudiamo il pentolone

Insomma, questo ragù tuttofare si guadagna un posto d’onore nella nostra collezione di mappazzoni internazionali. Una versione che punta tutto sulla quantità e sulla praticità, ma che sacrifica quel gusto autentico che solo la pazienza e la tradizione possono dare.

Ci sarà pure un motivo se il vero ragù si fa con calma, amore e pochi ingredienti scelti. Ma a quanto pare, non per tutti.

Alla prossima ricetta italiana rivisitata male. Di mappazzoni ne troveremo ancora, purtroppo. Stay Mappazzoni.

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