I 10 piatti italiani più DIFETTOSI della tradizione

I piatti italiani sono deliziosi ma a volte difettosi: pizza napoletana moscia, cassata zuccherosa, gelato che cola, supplì assassini, mozzarelle esplosive, bagna càuda antisociale, ‘nduja infuocata, bruschetta tagliente, lasagna caotica e cantucci spaccadenti. Ma li amiamo lo stesso.

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L’Italia ha la cucina più amata al mondo. Talmente amata che ne ignoriamo allegramente i difetti, come si fa con le persone che conosciamo da troppo tempo. E invece è giusto dirlo: anche i nostri piatti del cuore sono pieni di problemi. Gustosi, sì. Ma anche maleducati, sbilanciati, ingestibili. E noi li amiamo lo stesso, perché siamo gente di cuore. E di reflusso.’

Pizza napoletana

La pizza più famosa del mondo è anche la più difficile da maneggiare senza rovinarsi la serata. La guardi, la ami, la desideri. Poi ci affondi i denti e capisci che sotto quella montagna di pomodoro e mozzarella c’è il Pantano di Sauron. Il centro è un lago tiepido in cui l’impasto si arrende senza lottare. Afflosciata, gocciolante, incapace di sostenersi da sola. È come uscire con una persona meravigliosa che però non regge l’alcool: promette benissimo, poi si accascia. La mangi comunque, ovviamente. Ma piegato come un muratore  degli anni ’50. Eleganza: ciao.

Cassata siciliana

Un monumento all’eccesso. La cassata entra nella stanza e la stanza si mette in silenzio. È bellissima, barocca, teatrale. Ma ha la delicatezza di un camionista in autostrada. Tra ricotta, pan di Spagna inzuppato, marzapane e frutta candita, la bocca diventa un campo minato. Ti basta un morso per chiederti se hai davvero bisogno di tutti quei sensi in funzione. E il bello è che non puoi nemmeno dire di no: la cassata è invincibile, inesorabile, e se provi a criticarla, un siciliano appare alle tue spalle per correggerti con lo sguardo. Troppo dolce? Forse. Ma anche troppo tardi.

Gelato sul cono

Un gelato artigianale è una delle massime gioie della vita. Ma messo su un cono diventa una corsa contro la fisica. Appena varchi la porta della gelateria, inizia il conto alla rovescia. La crema inizia a cedere, il cioccolato si scioglie, e tu sei lì che cerchi di leccare tutto in fretta come un labrador ipoglicemico. L’equilibrio è impossibile: troppo lento, ti ritrovi con una mano appiccicosa e la vergogna pubblica. Troppo veloce, ti ritrovi a tossire perché ti sei strozzato con il pistacchio. E poi, diciamolo: non arrivi mai al cono con dignità. Ci arrivi distrutto, col gelato sotto le unghie e un inizio di crisi esistenziale.

Supplì al telefono

Il supplì romano è il classico esempio di piatto che ti ama solo se sei disposto a soffrire. Croccante, profumato, dal cuore filante che fa pensare alla parola “goduria”. Ma quel filo di mozzarella, così poetico nelle foto su Instagram, nella realtà diventa un elastico assassino. Tiri, mordi, e all’improvviso ti ritrovi intrappolato in una scena d’azione: riso bollente, fili che si aggrovigliano, la lingua che implora pietà. È buono, sì. Ma per mangiarlo ci vorrebbe un corso di sopravvivenza e un dentista in standby. Ogni morso è una roulette russa col cuore caldo.

Mozzarella in carrozza

Questo piatto è un inganno. Sembra innocuo, persino nostalgico: due fette di pane, un po’ di mozzarella, via in padella. Ma quella mozzarella, signori miei, non è mai stata addestrata al controllo. Una volta fritta, esplode. Appena la tocchi, schizza come lava. Il primo morso è sempre una trappola: o ti ustiona la bocca, o ti cola sulla maglietta bianca nuova. È la versione alimentare del “non fidarti delle apparenze”. Eppure è irresistibile. Torni sempre da lei, come da un ex tossico ma irresistibile. Brucia, ma ne vale la pena. Forse.

Bagna càuda

Piatto conviviale, sì. Ma conviviale solo con chi ha deciso di isolarsi dal resto dell’umanità per qualche giorno. La bagna càuda è un rito, una liturgia densa d’aglio e acciughe, da affrontare con lo spirito di chi sa che pagherà pegno. È deliziosa, profonda, unica. Ma il giorno dopo, anche il tuo alito ha una personalità. Non esci, non lavori, non incontri nessuno. È come una vacanza in una baita: rustica, potente e assolutamente antisociale. Non è un piatto, è un patto. Con il demonio dell’alitosi.

‘Nduja calabrese

Chi non ama la ‘nduja probabilmente non ha mai avuto un tubo digerente abbastanza coraggioso. È morbida, speziata, profumata di brace e rivoluzione. E poi arriva il piccante. Non il piccante modaiolo da menu fusion, ma quello che ti fa riconsiderare l’ordine delle priorità nella vita. Non la puoi affrontare senza preparazione: ci vogliono acqua, pane, uno stomaco allenato e un gastroprotettore di fiducia. È buonissima, ma non perdona. È come baciare un drago: romantico, ma rischi di uscire senza sopracciglia.

Bruschetta al pomodoro

Piatto semplice, diranno. Facile, diranno. La bruschetta è una delle cose più italiane che esistano, ed è anche uno dei piatti più umilianti da mangiare. Il pane è sempre o troppo duro o troppo molle. Il pomodoro scivola, l’olio cola, l’aglio ti perseguita fino al giorno dopo. Ti illudi che sia uno stuzzichino leggero, ma poi sei lì con la mano unta e i semi di pomodoro tra i denti, mentre il crostone ti ha già lacerato il palato. È un’esperienza mistica, ma in senso apocalittico.

Lasagna

La lasagna è l’amore della domenica. Ma anche l’incubo di ogni tentativo di impiattamento elegante. Tu ci provi: coltello affilato, spatola, tutta la delicatezza del caso. Ma alla fine, lei si sfalda, crolla, si spatascia nel piatto come un’opera concettuale. Buonissima, certo. Ma impossibile da presentare bene. Ogni volta sembra che l’abbia lanciata un bambino arrabbiato. Il gusto è sontuoso, il risultato visivo un film dell’orrore in salsa. Eppure nessuno si lamenta. Perché la lasagna è una religione. Anche quando sembra uscita da un incidente.

Cantucci col vin santo

Fine pasto rustico, tradizione toscana, poesia alcolica. Eppure, i cantucci hanno la consistenza di pietre decorative. Appena li mordi, capisci che è un test di resistenza mandibolare. Il vin santo serve a inzupparli, ma devi tenerli lì a mollo come fossero cemento armato. E comunque rischi la frattura dentale. È una sfida. Una prova di iniziazione. Ti piace, ma anche no. Lo fai per rispetto, per amore della nonna, per non sentirti turista. Ma in cuor tuo sai che preferiresti una mousse al cucchiaio. E uno sconto dal dentista.

tags: Attualità

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