Appunti sparsi
di Luca Burei
Per andare in Costa Azzurra in auto si passa dalla Liguria, dove ho vissuto un inverno, da bambino. Mi ricordo il mare agitato che riempie di schizzi la passeggiata di Nervi mentre io sento la mancanza dei miei amici e compagni di scuola lontani. Forse è per questo che quando ci passo tendo a non fermarmi.
Stavolta invece mi sono fermato, due volte.
# Sono uno da massimo venti/trenta minuti per portata e più invecchio più si riduce il tempo che riesco a stare a tavola senza smaniare. E quindi, anche se il cibo è buono, con un impegno encomiabile a rispettare tradizioni e territorio, andar di sabato sera a Campo di Nè, vicino a Chiavari, a La Brinca, trattoria e bottega dal 1987 che deve il suo nome al luogo scosceso, ripido e duro (come il carattere dei liguri) in cui si trova è un’esperienza che mette a dura prova la mia pazienza. Per fortuna che c’è la carta dei vini con la quale giocare. E che carta! 99 schermate su iPad con etichette che spaziano dalla comfort zone a quella più impervia di vignaioli estremi, non solo italiani. E per me vedere alcuni nomi che hanno segnato la mia storia delle bolle, a un prezzo onestissimo, è un vero piacere.
# Peccato che questa moda delle carte dei vini digitali sia quasi sempre solo un modo di risparmiare tempo e carta: pagine e pagine di pdf da scorrere. E se invece fosse qualcosa di un po’ più utile per chi cerca un vino? Per esempio filtri per nazione, terroir, vitigno, annata, produttore, etcetera? Brevi descrizioni? Un po’ di storia, qualche cartina. Insomma l’abc della transizione digitale.
# Quanti zero deve avere una carta dei vini? Meglio una carta da 1.000 vini o una da 40? Dipende dai vini, dall’umore e dall’esperienza che uno cerca, ma una carta piccola, di grande personalità, scritta su un paio di fogli come quella di Lavomatique a Nizza (foto di copertina) invoglia a provare, anche perché con facilità ti danno alla mescita anche ciò che non era previsto. Tutto naturale, ovviamente, con alcune chicche d’antan. Il menu, un altro foglio piegato in quattro, una dozzina di tapas da compartir, condividere, cucinate a vista, dietro il bancone al quale sono seduto, per una ventina di clienti, forse un paio di più. E mentre mi lecco le dita per Il miglior chawarma di agnello che abbia mai mangiato, tenero e gustoso, con una salsa di yogurt perfetta a contrasto, mi viene in mente gli inizi di Rhino a Parigi. Certo piatti differenti e anche storie differenti, ma la stessa passione, la stessa voglia, lo stesso piacere. E la stessa promessa: tornarci appena possibile.
# Me n’ero già accorto anni fa: le boulangerie francesi artigianali stavano sparendo. Ne ho la conferma. Trovare una boulangerie che non usi prodotti congelati industriali è veramente difficile. A Cagnes-sur-Mer ho contato 4 punti vendita di catene differenti concentrati in poche centinaia di metri, tutti con grande attenzione allo storytelling e poco al prodotto di panificazione, desolatamente uguale e mediocre. Per non parlare della viennoisierie, croissant con burro di scarsa qualità, pain au choccolat dal sapore uniforme, brioche invecchiate già nel forno, chausson aux pommes dalla dolcezza straboccante.
# Uno degli executive chef della maison Bocusse spiega in televisione che il menù del centenario unirà tradizione e innovazione, quindi, testuali parole, “ci saranno sempre le salse, ma più leggere…”. La cucina francese è salse, fondi, marinate, vinaigrette. Un semplice tacchino al forno con un fondo leggero, saporito e profumato pare la rivisitazione alchemica del noioso pollame.
# Il colpo di grazia alle boulangerie è linguistico: perfino nell’anglofoba Francia, come ormai in Italia, iniziano a vedersi le prime insegne bakery, probabilmente per vergogna nei confronti dell’arte bianca tradita che chiamarle boulangerie sa tanto di menzogna.
# La definizione del concetto di Teasy, Tasty & Easy, da me partorito, dopo anni di profonde e solitarie riflessioni, in occasione del mio viaggio in Sicilia dell’anno scorso (link) ha probabilmente avuto una definitiva messa a fuoco grazie a due posti. Il primo, Sintesi, ad Ariccia, che non posso a fare a meno di ricordare, riscoprire, ritornare ogni qualche mese con grande piacere (e a loro vada il mio bureino d’oro per aver mantenuto umiltà, cortesia, creatività e prezzi dopo la meritatissima stella). Il secondo, Scrap a Savona, scoperto quasi per caso l’inverno scorso con tanto di folgorazione. E se di scarto dev’essere (nomen omen) è uno scarto creativo per una cucina non solo sostenibile (anzi, responsabile, come mi è piaciuto leggere da qualche parte), ma di gusto, povera e locale il giusto, provocante con interiora e pezzi poco nobili così intriganti e intelligentemente uniti a piatti all’apparenza e sostanza meno estremi e altrettanto riusciti. Il tutto con una bella carta dei vini, solo naturali, dalla semplicità locale alla ricercatezza francese.
# Chi fa da sé fa per tre. E anche bene mi verrebbe da dire. Se Scrap è chiuso per ferie (non tutte le ciambelle vengono col buco), ormai a Savona per tappa ripiego su l’Osteria del buco del prete, a un centinaio di metri di distanza. Un locale con quattro tavoli e una persona, la stessa, al bancone, in sala, ai fornelli. Quello che conta, comunque, è il manico.
# L’Autostrada dei Fiori è un susseguirsi di lavori in corso, cambi di corsie, code e rallentamenti. Così anche l’anno scorso. Centocinquantotto virgola sette chilometri di maledizioni.
…. Che a stare fermo a me mi viene
A me mi viene
La noia