di Daniele De Sanctis
Il bar è un concetto metafisico. Obietterete (sbagliando) che è un luogo fisico, il posto dove la mattina acquistate la vostra colazione. E’ indubbiamente un’opposizione valida. Ma non sufficiente, non parlerò del vostro bar, il banco fisico che trovi facilmente persino su Google Maps, ma di quello dell’immaginario letterario, quello dei martiniani e delle storie assurde, un bar dell’anima, un bar che può essere ovunque, in nessun posto addirittura, o “Sotto il mare”:
“Non so se mi crederete. Passiamo metà della vita a deridere ciò in cui altri credono, e l’altra metà a credere in ciò che altri deridono. Camminavo una notte in riva al mare di Brigantes, dove le case sembravano navi affondate, immerse nella nebbia e nei vapori marini, e il vento dà ai rami degli oleandri lente movenze di alga. Non so dire se cercassi qualcosa, o se fossi inseguito: ricordo che erano tempi difficili ma io ero, per qualche strana ragione, felice”.“Il Bar sotto il mare, incipit. Stefano Benni 1977 Einaudi”
In fondo è la stessa cosa. Notate che l’alcool aiuta.
Il bar ideale non esiste sulla carta, non c’è nelle guide, non è tangibile o ascrivibile a regole fisse stampate su tavole di Mosheh-ana memoria, esiste, ma è una serie di cose che fa si che io rimanga qui (farà piacere un bel mazzo di rose, con quell’odore di cellophane ma una birra fa gola di più, Paolo Conte docet). Eh sì, è una serie di cose, di fatti, di piccoli dettagli, di sorrisi di ragazze e di storie. Il bar è l’anima lasciata dai personaggi che lo animano e lo frequentano, dal caso, dalla fortuna, se credete al caso, delle mille leggende da bancone.
In un film con Kurt Russel del 1986, dal nome stra-fighissimo di Stargate, c’era una porta, che apriva una dimensione spazio temporale, veniva attraversata da un gruppo di militari che combattevano una divinità, un faraone alieno, molto, ma molto cattivo, aiutatemi a dire cattivo. Con una lancia magica e un paio di semidei mostruosi e antropomorfi voleva distruggere il mondo come lo conosciamo. I nostri eroi combatteranno questi alieni mostruosi attraverso delle porte e il pianeta, chissà per quale oscura ragione, si salva.
Il Bar che vi vorrei raccontare io lo vedo più o meno cosi: entri che c’è ancora la luce solare, varchi la porta; saluti e ti siedi in compagnia di un paio di amici, o ancora meglio una mora strepitosa, per fare l’ aperitivo. Ne esci tre giorni dopo attorno alle tre di mattina, discutendo di antroposofia con un attaccapanni in stile Liberty. Mentre il coro del X (decimo in latino) Reggimento Granatieri di sua Maestà Britannica Imperatore di tutte le Indie suona Tundertruck degli ACDC con le cornamuse.
Esiste non sto scherzando. (almeno Tunder track suonato con le cornamuse).
Ma come sai qual’è il Bar giusto per te. È sai come lo puoi trovare? Ti devi fidare dell’istinto, dell’esperienza nelle precedenti occasioni sprecate (non si dice cosi? Che quando sbagli una situazione hai fatto esperienza?). Ricordo che da ragazzo erano più le volte che ero scontento che quelle che mi divertivo.
Poi cambiano le abitudini si guardano altre cose, si legge meglio l’ambiente. Ciò che ti affascina a 20 anni, ai 40 non te lo ricordi nemmeno. Devi solo vederlo, annusarlo, entrare ed essere accolto da un sorriso o da un silenzio, religioso, dipende.
In questo adoro o ambisco ai Martiniani (quelli che amano il Martini cocktail, quelli che fanno tremare i professional con le bandierine blu, in media hanno 10 anni più di me. Io preferisco un sorriso, per quanto normalmente mi mandino cordialmente a fanculo. Ma essendo a Roma, per quanto pittoresco, lo trovo un aspetto positivo. Alle volte quel semplice saluto di benvenuto ti cambia la serata.
Non è forse questa sensazione di partecipare a una storia, affidarsi alla capacità del barman che ne fa il TUO di posto, l’empatia con il luogo, con l’ambiente, con gli altri clienti, un microcosmo cangiante e labile dove qualsiasi progetto e qualsiasi avventura aspettano di svegliarsi?
E, come nel racconto di Stefano Benni: entra, sii curioso segui la situazione, ascolta i racconti degli altri avventori, che poi attendono alla fine, la tua storia. Se è questa la situazione allora stai nel posto adatto a te.
Poter bere in un buon bar implica che il lavoro del barman sia compreso, come sia lui in grado di capire chi ha davanti. Bisogna essere capaci di rispettare il barman nel suo lavoro. Alle volte la discrasia è colpa della proprietà, altre volte del personale sciatto, o della compagnia sbagliata. Ma un bar, un buon Bar, è casa pubblica, cioè anche vostra, e se la proprietà mette degli swarovsky in vetrina, vi devono piacere gli swarosky, altrimenti avete sbagliato bar.
L’ingresso è il momento fondamentale. Appena entrate fatelo piano e con calma, non siate spavaldi, non è il caso. Sentite l’odore, e l’umore del banco. Sono tutti appesi ? Si danno le arie, sono sbruffoni spavaldi, vitelloni o cosa? Salutate, un buonasera è sufficiente. La gentilezza è fondamentale.
Ora osservate se ci sono sedute comode, vogliono che vi sediate, se è tutto fatto in stile ed è scomodo è da un altra parte che dovete andare. Osservate cosa c’è di originale e dove sta il posticcio. Se c’è un armonia questa è data da un complesso di cose. A questo punto, superata la soglia, cosa succede? Siete nel giusto posto per voi?