di Rocky
Premetto che di piagnistei ne abbiamo fatti tanti riflettendo sul food-telling e sulla critica gastronomica attuale, e questo (mi dicono dall’alto) è l’ultimo. Ma c’è una speranza, lo giuro.
Ricordo un tempo non troppo lontano in cui il cibo era ovunque. Non si parlava d’altro. Eravamo invasi da show televisivi, chef ovunque, polemiche su carbonare, matriciane e amatriciane (nessuno sa veramente come si scriva). Per non parlare della guerra delle guide, uh come mi divertivo quando uscivano i voti e non si parlava d’altro per 10 giorni.
Già, perché il dinosauro che sta scrivendo c’era, lo ha visto. Ho scritto, ho raccontato, ho criticato. E oggi? Oggi nulla. Scorro i social nei giorni di Identità Golose e trovo il deserto, il silenzio, l’agonia. Un paio di post frettolosi, qualche foto sbiadita tra una story di fitness e un meme su Sanremo.
Il cibo, quello che ha dominato un decennio intero, sembra essere finito in soffitta, insieme alle enciclopedie e ai vecchi numeri di “La Cucina Italiana”. Che dio salvi la cucina italiana.
La fine di un’era, ma non disperiamo

Siamo stati travolti da un’ossessione collettiva per il food, e poi? L’abbiamo consumata fino all’ultima briciola. Per anni abbiamo trasformato la tavola in un palcoscenico, gli chef in star, la critica gastronomica in una nuova forma di letteratura. Poi qualcosa si è rotto. La sovraesposizione ha ucciso la passione. Troppi video, troppi blog, troppe recensioni entusiaste su piatti mediocri. Il pubblico si è stancato e ha cambiato canale.
La vera domanda non è perché il food-telling sia in declino, ma se sia possibile riportarlo in vita. Come si parla di cibo in un’epoca in cui tutto è già stato detto, recensito, postato, instagrammato? Forse la risposta è nel cambiamento di tono.
Meno idolatria, più sostanza. Meno estetica perfetta, più rock, disincanto e verità. Il cibo va raccontato con lo stesso approccio che un tempo riservavamo alle altre arti: con lealtà, senza riduzioni a slogan e senza l’ossessione della condivisione a proprio tutti, tutti.
Cosa resta quindi del food-telling?
Mi mancherà quel decennio in cui il cibo era tutto. Mi mancheranno le discussioni feroci sulle ricette concepite male e le conferenze dove si dissertava per ore sull’impiattamento di un carciofo di carciofo che voleva essere tartaruga. Ma è senza dubbio l’ora di ricominciare da un racconto diverso.
Qui su Foodzilla qualcosa abbiamo in mente, ma non posso dirvi niente se no la Fumelli si incazza.