Luoghi comuni sull’alta cucina: smontiamo qualche fesseria

alta cucina

di Joplin

Sinceramente, quando ho iniziato questo mestiere quasi vent’anni fa, non avrei mai immaginato che nel 2025 sarei stata ancora costretta ad ascoltare le stesse, vecchie idiozie sull’alta cucina. Basta dare un’occhiata ai commenti su Facebook, Instagram, Tripadvisor o TikTok per rendersi conto che le banalità enunciate su questo tipo di ristorazione sono sempre le stesse. Da non crederci. Stronzate che, a dirla tutta, sono invecchiate meglio di me e che, ancora una volta – l’ennesima negli anni – proverò a sfatare qui sotto.

“Negli stellati mangi pochissimo e quando esci vai al kebab”

Il mito per eccellenza. Chi ha messo in giro questa leggenda metropolitana probabilmente non ha mai affrontato un menu degustazione completo. Perché, diciamolo chiaro, dopo dieci portate che vanno dalla amuse-bouche ai petit four, uscire dal ristorante con la fame è impossibile.

Certo, se pensi che abbuffarsi significhi trangugiare un chilo di pasta alla carbonara, allora l’alta cucina non fa per te. Ma chi ha provato un’esperienza gastronomica di rilievo, sa bene che il senso di sazietà non si misura in quintali di cibo, ma nella profondità del gusto e nella stratificazione dei sapori.

“Come si fa a spendere 200 euro (minimo) per una cena!”

Ecco l’altro tormentone. E poi sono gli stessi che cambiano smartphone ogni sei mesi, comprano l’auto a rate e volano dall’altra parte del mondo per postare la solita foto con il cocktail sulla spiaggia. Il punto è semplice: ognuno ha le sue priorità.

C’è chi spende per il lusso tecnologico, chi per le esperienze di viaggio e chi per la ricerca gastronomica. Non dovrei essere costretta a spiegarlo, ma dietro quel piatto da 200 euro c’è studio, tecnica, materie prime incredibili, personale formato e una visione. Se vuoi solo riempirti la pancia, vai in fraschetta e bene così. Non ci offendiamo.

“Gli chef sono miliardari”

No. Gli chef che fanno ricerca, che innovano e che portano avanti una cucina d’autore molto spesso fanno i salti mortali per far quadrare i conti. Hanno costi di gestione da capogiro: personale altamente specializzato (e in regola, perché i controlli ci sono, eccome), fornitori di eccellenza, affitti spropositati e investimenti continui.

Gli unici che diventano davvero ricchi sono quelli che trasformano il loro nome in un brand globale, e anche loro lo fanno grazie a programmi televisivi, consulenze, pubblicità e prodotti a marchio. Ma la maggior parte degli chef di alta cucina sta in equilibrio precario tra sogno e sostenibilità economica.

“Comprano la roba al supermercato e te la passano per costosissimo cibo gourmet”

Questa è fantastica. Come se un grande ristorante potesse permettersi di spacciare una mozzarella industriale per un prodotto artigianale. Chi lavora nell’alta cucina ha una sola ossessione: la qualità. Lo chef di livello passa ore a selezionare piccoli produttori, visita allevamenti, studia stagionalità e tracciabilità. Certo, se pensi che un filetto di wagyu lo trovi in offerta sotto casa a 9,99 al chilo, forse dovresti rivedere le tue fonti.

“Mia madre/moglie/nonna/marito cucina meglio”

No, no, no e ancora no. Nessuno nega che la cucina di casa sia meravigliosa, affettiva, confortante. Ma mettiamo le cose in chiaro: cucinare un ragù per la domenica in famiglia non è la stessa cosa che creare da zero un piatto di ricerca. Sono mondi diversi. E dire che “mia nonna cucina meglio” non ha senso: è come confrontare un concerto rock con un’orchestra sinfonica. Entrambi straordinari, ma con scopi e linguaggi diversi.

“I ristoranti stellati pagano per stare nelle guide”

Se una cosa del genere sia mai accaduta io non lo so, e spero di no. Ma in generale, col giro di pettegolezzi, spionaggi, brigate e chiacchieroni che girano in questo ambiente, se qualcuno avesse mai pagato per stare in una guida sarebbe lo zimbello di tutto l’ambiente e la guida, cancellata dagli indirizzari di riferimento. Quindi NO, non si paga per avere la stella o per stare in guida.

Detto questo, non nego che qualche guida recente – per sopravvivere si intende – abbia trovato l’escamotage di far pagare lo spazio permanente nelle proprie pagine ed è inutile star a dire qui che è una pratica più che scorretta.

Chi ha orecchie per sentir….

“Non si può innovare il cibo italiano, è già perfetto così”

Questo è il dogma degli integralisti culinari. Nessuno discute la grandezza della cucina italiana, ma dire che non si può innovare significa fossilizzarsi. La tradizione stessa è frutto di continue evoluzioni: la pizza che oggi idolatriamo non esisteva in questa forma fino a un paio di secoli fa, e la carbonara che difendiamo con le unghie e con i denti è nata meno di cento anni fa.

Gli chef contemporanei esplorano nuovi ingredienti, tecniche e abbinamenti senza distruggere il passato, ma anzi, esaltandolo. L’innovazione non è una minaccia, è il motore della moderna cultura gastronomica.

“Meglio la trattoria”

Ma certo! Però aspetta: perché metterle in contrapposizione? La trattoria e l’alta cucina non sono nemiche, anzi, sono due facce della stessa medaglia. Una offre piatti abbondanti e sapori tradizionali, l’altra ricerca, estetica e innovazione. Nessuna delle due è “meglio” dell’altra. Dipende da cosa cerchi. Il problema è che chi denigra l’alta cucina spesso non l’ha mai provata davvero. E critica per sentito dire.

Quindi, direi, basta con queste idiozie

L’alta cucina si può amare o no, ma liquidarla con luoghi comuni è come giudicare un film d’autore dopo averne visto solo il trailer. Quindi, prima di parlare, magari prova. Potresti scoprire un mondo che non avevi mai immaginato.

Condividi con gusto